TRAPANI, L’INCREDIBILE STORIA DELL’AGENTE GIUSEPPE PICONE: “SEI ONESTO, ALLORA SEI PAZZO”

Nessuna medaglia per Giuseppe Picone, 53 anni, per la sua onestà e senso del dovere, lui che già ne aveva vinte due, una d’oro e una di bronzo. Un uomo che dopo 27 anni di servizio nel carcere di Trapani, ha visto interrotta improvvisamente la sua carriera di poliziotto penitenziario.

La sua vicenda personale appare un monito per tutti coloro che volessero condurre onestamente la propria missione e aderire coerentemente alle leggi dello Stato: “attenzione a fare gli onesti, attenzione… siate ciechi, sordi, muti e indifferenti mentre tutto accade e si svolge tra intrighi e collusioni. Quello che vi capiterà sarà la disintegrazione della vostra vita pubblica e privata da parte di coloro che invece avrebbero dovuto tutelare e supportare le forze positive dello Stato”.

Tutto ha inizio nel 2004 quando Picone si accorge di alcune pratiche illegali che avvengono all’interno del carcere: l’introduzione di cellulari all’interno dell’istituto di pena con la complicità di alcuni suoi superiori. In qualità di agente addetto alla portineria, aveva il dovere di monitorare nonché impedire l’ingresso di qualsiasi civile, per evitare soprattutto che questi entrasse in contatto con qualche detenuto. È l’ordine di servizio emesso dal Ministero della Giustizia a stabilirlo, valido in tutte le case circondariali italiane.

Approfittando del fatto che all’interno della struttura carceraria venivano effettuati dei lavori di ristrutturazione, un geometra si era introdotto portando con sé cellulare e pc portatile proseguendo un percorso non consentito. La regola prevede che i civili debbano passare dall’esterno in presenza di un accompagnatore, e a questa Picone si sarebbe attenuto, in qualità di supervisore e addetto all’ingresso. Poca cosa valse il suo corretto intervento, tant’è che il geometra ottenne ugualmente il permesso di entrare con telefonino e computer, da parte del direttore e dei superiori, incuranti di commettere un reato penale.

Sarà questo episodio a segnare per sempre la guardia carceraria, che da quel momento in poi inizierà a subire abusi di ufficio, violazioni di legge e angherie: quello che oggi in una sola parola viene chiamato “mobbing”. Ma questo è solo l’inizio. L’uomo verrà sospeso durante un’assemblea sindacale e lo stesso superiore che aveva favorito l’ingresso del geometra, costringerà Picone a sottoporsi a degli accertamenti psichiatrici: ma risulterà sano di mente, dunque idoneo. Ciò che gli sarebbe spettato di diritto, cioè rientrare al suo posto, sarà messo in discussione, costringendo il malcapitato a sottoporsi a un nuovo stress: superare un concorso interno e ricominciare a lavorare.

Un’altra beffa, quel posto era stato già occupato da qualcun’altro. L’astuta persecuzione dei superiori ottiene i risultati sperati. Esacerbato dagli ingiusti trattamenti, l’uomo manifesta sconforto e rabbia, ne consegue che il soggetto verrà accusato di essere psicologicamente alterato e quindi congedato per patologie psichiatriche.

A nulla son servite le lettere di protesta e la documentazione delle “malefatte” che avvenivano all’interno del carcere di Trapani notificata al dipartimento della polizia penitenziaria di Roma, se non a subire un’ulteriore denuncia da parte del suo ex comandante, la perquisizione e lo stravolgimento della sua abitazione e in seguito la denuncia di un suo ex funzionario per molestie, con conseguente condanna.

Constatando l’impassibilità della giustizia, Giuseppe Picone sarà costretto a denunciare a Caltanissetta i procuratori di Trapani, ad inoltrare esposti (tutti archiviati) al Csm (Consiglio Superiore della Magistratura) e a incatenarsi a Montecitorio per farsi ascoltare dai rappresentanti dello Stato.

Ma cosa rimane di questa drammatica storia? Ai furbi e ai malfattori il ghigno della vittoria. Agli onesti il sorriso amaro della delusione. A Giuseppe Picone, tradito e vittima di un complotto istituzionale, una vita pubblica e familiare distrutta.

Sabrina Macaluso

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