Totò & Mirello, qualcosa da dire ma poco da fare. I due “zii” di Sicilia come reperti di un tempo antico
SICILIA. Di Calogero Pumilia
Totò Cuffaro e Mirello Crisafulli hanno dato prova di essere rimasti due personaggi di peso. Hanno ancora qualcosa da dire, come è normale per persone intelligenti e con una lunga storia alle spalle. Dubito abbiano ancora qualcosa da fare. Non sono sicuro che l’entusiasmo e la tenacia di Cuffaro riescano a rianimare la Democrazia cristiana. Egli può semmai contribuire a riprendere il filo del racconto di una vicenda che i nostri errori, quelli di noi democristiani, hanno segnato e la capacità di dannarne la memoria di quelli che ci vinsero e prima di poter alzare lo stendardo se lo videro strappare di mano dalla destra, hanno riscritto, spesso deturpandola.
Si specchiano, Cuffaro e Crisafulli. Si elogiano, un pò rimpiangono il tempo del loro protagonismo, rischiano di apparire veri e propri maramaldi se confrontati con quelli che oggi reggono, si fa per dire, le leve della politica siciliana. Troppo facile. Non c’è confronto. Nel bene e nel male. Nella capacità e negli errori commessi o a loro attribuiti. Nella filiera dei due da una parte c’è chi, quasi al termine della propria esperienza alla presidenza della Regione, cerca ancora le responsabilità del predecessore – e sono tante – o le scarica sui cittadini che bruciano i boschi, sporcano le città e non si vaccinano.
Sulla filiera di Crisafulli c’è chi, dopo avere stravinto le ultime elezioni, insieme all’assenza di cultura e di progetto, vede svanire nel nulla il nugolo di consensi e si nasconde dietro la mancata individuazione di un capo per non fare alcuna scelta, ché scegliere non è nelle corde del Movimento di Grillo. C’è chi, a capo di un partito di sinistra, propone l’alleanza elettorale con il sindaco di Messina, ritenendo probabilmente che la briosa sguaiataggine del personaggio interpreti il moderatismo isolano.
Insomma, la simpatia, la stima per Cuffaro e per Crisafulli, specialmente quando quest’ultimo propone “un’alleanza per mettere fuori gli incapaci” e mi ricorda giusto la storia di quel tale che suggerì “la morte ai cretini” a De Gaulle, sentendosi rispondere dal generale: “caro amico, il suo programma è troppo ambizioso”. La simpatia e la stima per i due “zii di Sicilia” mi provocano un po’ d’invidia che tuttavia non mi induce ad utilizzare la tediosa espressione “com’erano belli i nostri tempi!”. La frase mi dà il senso della vecchiaia e dell’incapacità di guardare avanti e mi spinge a rispondere sempre che la cosa certamente bella di quei tempi era la nostra giovinezza.
Datemi l’occasione di confrontarmi con un mio coetaneo, se ancora ve ne sono. Non sarò un reperto museale, anche se di musei ne gestisco due. Sarò solo un soggetto vintage. Anch’io in grado forse di maramaldeggiare.