IL PIANO PAESAGGISTICO E LA CONSERVAZIONE DELLA NOSTRA IDENTITÀ

Lettera al Corriere di Sciacca di Giuseppe Bazan, professore Ecologia del Paesaggio Università di Palermo

A proposito del dibattito sorto con il Piano Paesaggistico della Soprintendenza, ci è giunta in redazione la lettera di Giuseppe Bazan professore di Ecologia del Paesaggio all’Università di Palermo. Lettera che volentieri pubblichiamo per il prezioso contributo al dibattito.

Caro Direttore,

da giorni sto leggendo sulla stampa locale allarmanti notizie sugli effetti che il piano paesaggistico potrebbe avere sullo sviluppo economico della nostra città ed in particolare sullo sviluppo turistico. Non entro nel merito dei cavilli formali e normativi o errori grafici di cui è accusato il PPT della provincia di Agrigento – aspetti che stanno facendo perdere di vista i veri obiettivi dello strumento urbanistico – ma non posso tacere di fronte alle affermazioni che la tutela del paesaggio, nel 21° secolo, rappresenti un freno allo sviluppo economico di un territorio.

Nella recente conferenza nazionale “La Natura d’Italia. Biodiversità e Aree protette: La Green Economy per il rilancio del Paese”, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, di Ministri, ed esperti di economia ed ambiente (www.minambiente.it/pagina/la-natura-delitalia), è stata tracciata la rotta da seguire nelle politiche di sviluppo territoriale che punta proprio sulla conservazione e valorizzazione del capitale naturale nonché sul ruolo multifunzionale delle infrastrutture verdi e del paesaggio agricolo tradizionale. Alla base dell’attrattività turistica di un territorio ci sono sicuramente le bellezze del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Ma quando parliamo di paesaggio bisogna stare attenti a cosa ci riferiamo.

Sto parlando di paesaggio reale e non di paesaggio progettato. Il paesaggio reale oltre ad un valore estetico, ha funzionalità di tipo ecosistemico ed è sede di attività socio-economiche.

Per fare un paragone: il “paesaggio costruito” di un campo da golf, seppur bello, sta ad un “paesaggio naturale” come un “outlet village” sta ad un “centro storico”. E i primi casi non sono beni di cui dispone la collettività.

La mancata costruzione di mega complessi alberghieri o villette a schiera per nababbi sono opportunità perdute per alcuni ma sicuramente non per la città.

A titolo di esempio prendo l’area di Monte Rotondo che rimane oggi, assieme a buona parte del territorio di proprietà ex SITAS uno dei pochi tratti di costa che hanno conservato il loro paesaggio tradizionale. Il sito, apparentemente povero dal punto di vista della copertura vegetale, in realtà ospita una flora molto peculiare, tipica delle formazioni argillose della Sicilia meridionale con la palma nana, lo sparto delle steppe ed una particolare specie di asparago bianco (Asparagus pastorianus) che in Europa si trova solo ed esclusivamente in questo tratto della Sicilia.

In tal senso il suo articolo “Con il piano paesaggistico diventiamo una città a vocazione produttiva di asparagi….” presenta un fondo di verità!

Oggi la costa di Monte Rotondo costituisce una testimonianza del paesaggio tipico della costa meridionale della Sicilia, un “capitale naturale” della collettività che indirettamente si traduce in “valore economico” per tutti. Altro esempio potrebbe essere l’immenso valore che per i saccensi ha l’area dei Molinelli, eletta in maniera del tutto spontanea ed autonoma a parco urbano e area fitness della Città.

Di chi sarebbero i benefici se quel luogo diventasse un villaggio turistico? Sicuramente queste, come altre risorse della costa e dell’entroterra, devono essere meglio valorizzate ma ritengo che si debba superare la visione “grossi complessi turistici”, tecnosistemi autosufficienti che, in termini di benefici/costi, lasciano ben poco al territorio che li ospita.

È il tempo della ricettività diffusa (Bed & Breakfast, Case vacanza, ecc.) integrata con la piccola ristorazione, gli agriturismi, la produzione agro-alimentare locale, l’artigianato, ecc.. Una formula che rivitalizza i centri storici, rivaluta il costruito esistente senza aggiungere altro cemento nel territorio. Ma per supportare ciò è necessario che il territorio conservi un’identità e delle attrattive che sono proprie del paesaggio naturale ed agricolo, nonché del patrimonio architettonico e urbanistico dei centri storici.

Se perdiamo di vista le vere nostre risorse, i nostri beni comuni, il nostro capitale umano dall’ospitalità innata e sacrifichiamo la nostra terra agli interessi di pochi, per costruire le loro isole autosufficienti, alla collettività cosa rimane?

Giuseppe Bazan, professore Ecologia del Paesaggio Università di Palermo

Caro Professore, grazie per il suo contributo e per essere un lettore del Corriere di Sciacca. Il dibattito sulla questione del Piano Paesaggistico è molto acceso in città. Mi preme, immediatamente, sottolineare che il Piano Pasesaggistico contiene diverse omissioni, addirittura fa “sparire” una fascia larga che parte dal porto e arriva fino al quartiere di San Michele. Uno omissione del genere è grave, e nel contempo non consente una valutazione del Piano stesso, e non consente ai residenti di poter comprendere quali siano le prescrizioni.

Detto ciò, ancora un argomento vorrei che fosse chiaro. Nessuno è a favore di un saccheggio del territorio. Anzi, le dico di più. L’abusivismo ha rovinato la nostra costa “africana”. Oltre all’abusivismo, abbiamo sulla costa mediterranea case con tetti spioventi, tipici delle Dolomiti. Gli architetti, a volte, danno troppo sfogo alla fanmtasia.

Noi siamo consapevoli che lo sviluppo del territorio deve avere radici nella tutela del territorio stesso. Ma questo non significa che uno sviluppo programmato, intelligente, normato, non possa avvenire. Nella foto che ci ha inviato, lei mette a confronto due realtàò, una “antica”, l’altra moderna. La seconda è il frutto di una programmazione errata, di un abusivismo che è stato consentito.

In tutte le parti del mondo lo sviluppo turistico è una risorsa ed esso coincide anche con la tutela del territorio. La invito a Sciacca a visitare l’impinato golfistico, cui lei fa riferimento.

Il grave errore del Piano Paesaggistico della Soprintendenza risiede nel fatto che è stato elaborato senza mai convocare gli ordini professionali. Insomma, nella stesura del Piano intravedo un metodo “dittatoriale”.

Sono convinto che normare un territorio sia possibile con il matrimonio di uno sviluppo turistico. Mi piace farle un esempio. Oggi Sciacca senza i 4 alberghi della Sitas avrebbe una presenza di poco più di 70.000 presenza annue. I B&B ne attraggono 3/4 mila in un anno. Lei comprende, caro professore, che lo sviluppo turistico ha bisogno di una perfetta sinergia di due elementi: tutela paesaggistica e possibilità di sviluppo economico-turistico.

La riunione di stamattina tra ingegneri, architetti, gemotri, geologi e organi istituzionali comunali, ha affermato il principo della tutela del territorio. Tutela che può coniugarsi con uno sviluppo concertato con il territorio stesso.

Il Piano Paesaggistico, di fatto, rade al suolo la possibilità dello sviluppo. Concludo, caro professore, usando una citazione latina: im media stat virtus.

Un cordiale saluto. Filippo Cardinale

 

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