Come si è polverizzato politicamente in tre anni il Consiglio comunale
EDITORIALE DI FILIPPO CARDINALE
Sono trascorsi tre anni dall’inizio del nuovo mandato sindacale e consiliare. Tre anni in cui il quadro geopolitico locale è mutato acquisendo i connotati di un libro di storia che appartiene ad un mondo antico.
L’emergenza coronavirus ci consegna una fase 2 in cui quello che c’era prima ora non c’è più. L’emergenza sanitaria ed economica ha di fatto segnato uno spaccato profondo, oltre il quale adesso presenta una realtà non definita, incerta, irta di difficoltà. Un nuovo mondo che presenta una città assalita da una elevazione in peggio delle criticità che da anni fanno parte del suo tessuto socio-economico. Come un virus che si adatta al suo ospite per sopravvivere e che non va via. Diversi virus sono stati combattuti da vaccini, ma trovarne uno per un serio e concreto rilancio della città sembra impresa impossibile. La politica non riesce a trovare una terapia, anzi, come avviene tra scienziati, partorisce divisioni, pronuncia teorie che tali rimangono.
Eppure, tre anni fa, sembrava che il laboratorio della politica fosse in grado di proporsi come propulsore capace di spingere in avanti la nostra Sciacca che viaggia alla velocità di una lumaca. Forse più lenta, anzi più statica.
C’era la sensazione che il M5S potesse conquistare il governo della città. Così non fu. Ha conquistato due seggi con Bilello e Curreri. Ma sono due parallele che non convergono, a dispetto della teoria di Aldo Moro che teorizzò il contario.
C’era un movimento civico che doveva rivoluzionare la cultura politica della città. Mizzica che sbaglio a voler combattere da single! E così, Termine mette in pratica il concetto grillino: uno vale uno. E uno rimase.
E poi i due tradizionali schieramenti, schematicamente contrassegnati da simbologie ormai medievali: centrodestra e centrosinistra. La città mostrò, ai tempi supplementari, di volgersi verso il “cambiamento”, ma rimase saldamente aggrappata alla constatazione gattopardiana.
In tre anni, il Consiglio comunale è stato teatro nel quale sono state rappresentate diverse commedie, anche qualche tragedia tipica del periodo ellenico. Azzeramenti di assessori, riposizionamenti, sostituzioni, dichiarazioni di indipendenza. E poi lotte titaniche all’interno di chi le elezioni le ha vinte. Epico lo scontro finale tra sindaco e gruppo cusumaniano. Ma ancor più titanico la trappola tesa a Bellanca. Viene azzerato da assessore, ma prima viene convinto a dimettersi da consigliere comunale per assumere solo il ruolo di assessore. Gli viene data massima garanzia. Ma si sa, in politica tutto è possibile anche che la garanzia scade inesorabilmente e senza pensarci due volte. E così, Bellanca viene estinto come i Dinosauri. Non cade nella trappola Mandracchia che non si dimette da assessore, viene azzerato ma resta in Consiglio comunale. Resiste all’estinzione.
Il Consiglio comunale si è replicato in ciò che ha fatto la terra, distaccandosi e spingendo i continenti alla deriva e creandone di nuovi.
E così il centrosinistra si è diviso, creando piccoli continenti. Il Pd con tre consiglieri, Di Paola, Bonomo e Montalbano, riesce a prendere il bottino istituzionale, i cusumaniani, Ruffo, Guardino e Ambrogio, si riducono ed escono dalla maggioranza, un consigliere, Gulotta, si dichiara indipendente ma consacra la fede al sindaco. Un altro consigliere di maggioranza, Ezio Di Prima, rimane solo, l’altro eletto, Santangelo, nella stessa lista riconducibile al sindaco, fa il salto dall’altra parte dei banchi consiliari. E così, la lista riconducibile al sindaco si divide, di fatto inabissandosi come l’isola Ferdinandea.
E così, il continente del centrosinistra si scompone, formando isole. Ma spingendo alla deriva anche la logica di chi governa: contare su una maggioranza. Restano Sabella e Frigerio, ambedue senza riferimenti parlamentari essendo Cimino e Cascio rimasti al palo nelle scorse elezioni regionali. E allora, finché la barca va, lasciala andare. Pensiero non di un filosofo della Magna Grecia, ma di una cittadina di Cavriago, meglio nota come Orietta Berti, in una delle sue canzoni.
E poi, poteva mancare il paradosso? Unisti per Sciacca, lista civica molto a sinistra, porta in Consiglio comunali due mastini della politica, Leonte e Mandracchia, oltre a Cinzia Deliberto. Amici per la pelle ma non per il pallottoliere. Mandracchia inizia da assessore ma viene azzerato dal sindaco; Deliberto si rende indipendente e lascia la maggioranza; Leonte osserva e diventa assessore. Uniti per Sciacca si strasforma in Disuniti, con Mandracchia che si rende distinto e distante dalla posizione iniziale e Deliberto che lascia la coalizione. Ora è un’isola a parte. Calcisticamente, un libero.
Avviene, nel frattempo, una sorta di gioco di prestigio. La maggioranza si trasforma in minoranza, mentre la minoranza lievita fino a diventare maggioranza. Ma come tutti i giochi di prestigio, è solo un’illusione. Il variegato continente delle opposizioni, in verità, è un mondo frastagliato. I due grillini, Bilello e Curreri, sono separati in casa. Oggi lo sono ancora di più dopo che Mangiavacallo ha divorziato dal grillismo. Mizzica naviga in solitaria.
Il centrodestra appare come un centro commerciale con diversi brand. C’è il duo Bono-Milioti, ma c’è anche un altro duo, Maglienti-Caracappa, che però sembra la coppia di un doppio tennistico ma sparigliata, dove ognuno gioca da singolo. Pasquale Bentivegna da tempo tenta di girare il mondo navigando in solitaria con una barchetta a vela. Salvatore Monte, Carmela Santangelo e Cinzia Deliberto spesso sono in terzetto. Ma ognuno ha una posizione politica diversa, più marcata quella di Monte e Santangelo, indipendente quella della Deliberto. Poi c’è un altro solista, Gaetano Cognata che si è distaccato dal senatore Giuseppe Marinello per ritrovarselo a tifare Giorgia Meloni.
Continenti che anziché convergere, divergono, fino a scontrarsi e infrangersi con la vicenda della mozione di sfiducia. Passando, prima, dalle forche del bilancio della “stabilizzazione”, turandosi il naso ma votandolo.
Del resto, non c’è alternativa: o si votano i bilanci o si scioglie il Consiglio comunale. Così, il sindaco rimane in sella, in solitudine e senza più l’impietosa logica dei numeri.
Il quadro politico di oggi è una maionese impazzita. Rimangono due anni per le prossime elezioni. Sono pochi. Ma sono parecchi per una città piena di criticità e ora appesantita dalla crisi socio-economica causata dal coronavirus.
Serve uno scatto di responsabilità dimostrato dal bene verso la città. Quel bene vero, non quello pronunciato davanti alle telecamere. Serve deporre le armi della litigiosità. Serve umiltà, serve quel cambio di passo auspicato da Simone Di Paola. Quel gesto che ieri sembrava utopia, oggi diventa necessità.
Serve, da parte del sindaco, un coraggioso slancio di visione anche attraverso una autorevisione della metodologia applicata in questi tre anni. Serve che faccia il sindaco, spogliandosi dell’appartenenza politico e partitica. Se questo non avviene, volere bene alla città significa concretamente porre fine a questa agonia, lunga e deleteria e rimettere tutto nella volontà dei cittadini.