Acquedotto Favara di Burgio: la Regione sta col socio Siciliacque e non con i cittadini della provincia agrigentina
Succede quando la Regione, ente pubblico, diventa socio di un privato, in tal caso Siciliacque, e sul bene vitale qual è l’acqua assume la mentalità più deleteria della veste privatistica. L’esempio dell’acquedotto Favara di Burgio è eclatante
AGRIGENTO- La Regione siciliana vanta un record imbattibile: ogni tal volta partorisce una riforma lo fa nella peggiore delle forme. Basta dare uno sguardo alla sanità, ai rifiuti, all’acqua. Non solo, anche quando, come nel caso di Siciliacque, la Regione mostra i muscoli con i deboli e anziché difendere i propri cittadini, e fa da scudo a pieno petto al privato. Sulla storia dell’acqua bisognerebbe andare a ritroso negli anni, fino al capitolo della consegna a tutto beneficio del privato del bene vitale per i siciliani: l’acqua. La consegna di un tale tesoro vitale a Siciliacque, di cui la Regione detiene il 26% di quota sociale, e quindi è proprietaria quasi di un terzo, è l’esempio di quanto danno riesce a produrre la politica, quella ottusa o attratta dalle sirene degli interessi che spesso non coincidono con il bene dei siciliani.
Vi è una lotta serrata tra la presidente della società consortile AICA, Danila Nonbile, (società i cui soci sono i Comuni dell’agrigentino che, quindi, rappresentano i cittadini del territorio attraverso i sindaci, e la società privata Siciliacque di cui la Regione detiene il 26% delle quote sociali. Dunque, la Regione assume un duplice profilo: quello imprenditoriale-privatistico, e quello che dovrebbe essere prioritario nella difesa degli interessi dei cittadini, dei siciliani. Quest’ultimo profilo, in verità, messo da parte. Intanto, il socio Regione è riuscito ad arrecare un notevole danno ai siciliani permettendo alla Siciliacque di vendere il vitale bene emunto dal territorio siciliano ad un prezzo che è il più caro in Italia: settanta centesimi al metro cubo. E’ ovvio che un prezzo così alto incide sul costo finale della bolletta che viene amorevolmente inviata agli utenti siciliani. Ma la Regione riesce a fare ancora peggio dimostrando di tutelare con maggiore determinazione gli interessi di Siciliacque anziché quelli dei siciliani, in modo particolare quelli dei cittadini della provincia di Agrigento. E quello che succede in questi giorni, attraverso la lotta serrata della presidente del Consiglio di Amministrazione della società pubblica AICA (che gestisce il servizio idrico integrato agrigentino) che sta lottando in modo esemplare contro la forza bruta del gigante Siciliacque spalleggiato dalla Regione socio. Il campo di battaglia è l’acquedotto Favata di Burgio, un acquedotto interno alla provincia di Agrigento che serve esclusivamente i Comuni agrigentini, alimentato quasi esclusivamente dai pozzi della sorgente Favara di Burgio. La presidente di AICA, Danila Nobile e il direttore generale Francesco Fiorino, dimostrano senza equivoci, che l’acquedotto Favara di Burgio non è un impianto sovrambito e del quale Siciliacque ha competenza. La concessione della Regione siciliana, per il management di AICA non è legittima. Una nota molto articolata, e corredata da riferimenti legislativi e da sentenze della Corte Costituzionale, è stata inviata alla Presidenza della Regione, all’Assessorato regionale Energia e Servizi di Pubblica Utilità, al Dipartimento delle Acque e dei Rifiuti, a Siciliacque e per conoscenza alla Prefettura di Agrigento e ai sindaci soci di AICA. C’è da augurarsi che sulla vicenda metta le mani anche la Procura della Repubblica di Agrigento. In buona sostanza, la vicenda fa il paio con la nota e divertente storia del film di Totò nel quale è intento a vendere la fontana di Trevi ad un americano.
E’ qui la storia perversa il cui attore protagonista è Siciliacque in compagnia della Regione siciliana. L’acquedotto Favara di Burgio non è interconnesso con altri impianti a beneficio della collettività extra provinciale agrigentina. E’, come spiegato ampiamente da AICA, un impianto che rientra nell’ambito provinciale di Agrigento e quindi di AICA e quindi dei cittadini agrigentini. Ma il farsesco è che Siciliacque prende l’acqua dal Favara di Burgio e la fattura ad AICA, ovviamente ad un prezzo di settanta centesimi al metro cubo. E allora è qui che rientrerebbe anche il conflitto della Regione siciliana che permette alla Siciliacque e quindi a se stessa, di fatturare a AICA ad un prezzo altissimo l’acqua dell’acquedotto Favara di Burgio che non è una struttura sovrambito. Attenzione, la questione è assai delicata e importante nel contempo poichè dalla nascita di AICA ad oggi Siciliacque ha fatturato a AICA per circa venti milioni di euro. Un fatturato che, secondo le articolate motivazioni di AICA, è illegittimo e per tale motivo la consortile ha chiesto alla Siciliacque una nota di credito. Allora è semplice dedurre che i 20 milioni di credito vantati da Siciliacqcue sarebbereo annullati e che nel contempo AICA si vedrebbe azzerato un debito che è figlio di una vicenda che sa di farsa, ma soprattutto è a tutto danno dei cittadini agrigentini. Il presidente della Regione abbia il coraggio e la determinazione di intervenire su questa vicenda anteponendo gli interessi della popolazione agrigentina a quella prettamente affaristica di Siciliacque di cui la stessa Regione siciliana è socio. Metta un punto al conflitto di interessi e rivolga lo sguardo al “bene della collettività”.





