Non un sogno infranto, semplicemente una fuggevole primavera: questo è stato il percorso di due artisti, le due metà coincidenti di un progetto unico e condiviso. Li ho incontrati e conosciuti in primavera circa tre anni fà, le nostre più lunghe conversazioni hanno avuto luogo nel giardino di “Petra” incastonato tra le rocce, scintillante di profumi e variopinto di colori. Mi fu subito chiaro: era l’inizio di una nuova primavera, una primavera culturale. “Petra” era la protagonista, mentre Pippo e Giacinta Pumilia ne tessevano la trama, tutto costituiva parte integrante e imprescindibile: “i mastri”, arredi e corredi, luci e mosaici, piante e sculture, perle e pitture. E la sinfonia dell’arte si innalzava con musica e spettacoli e nelle sue “fucine” prendevano vita creazioni orgiastiche alla vista e al palato, per dar luogo a esperienze uniche di convivio, arte e piacere.

Pippo e Giacinta Pumilia, mecenati generosi e benefattori dell’arte sono l’esempio della passione che nutre, lungi dalle copiose scelte sconsiderate e comode al sistema. “Petra” disegno compiuto e cassaforte dell’arte, indelebile e irripetibile nella sua complessità, semplicemente interrotto o forse concluso − non importa – è proprio nella fuggevolezza che si assaporano le cose migliori. Lode all’arte, alla cultura e alle menti illuminate e che fioriscano altre e infinite primavere.

Il buon governo dovrebbe avere come obiettivo e scopo il bene e il bello collettivo, di fatto invece si continua ad agire in una prospettiva “d’emergenza”. Pianificare e progettare sono azioni e logiche lontane dalle scelte operate, si provvede in modo casuale a una situazione insoluta: il vuoto delle sale del museo. Allo scopo era sopraggiunta la collezione della Fondazione Orestiadi, mentre ora è il turno delle trentacinque pregevoli sculture di Salvatore Rizzuti.

Le sale superiori del Museo accoglieranno in maniera permanente “ora e per sempre” le opere dell’artista Salvatore Rizzuti, un’unione infelice che risponde ad una scelta in controtendenza, negando definitivamente al Museo Civico la possibilità di uno spazio elastico e multiforme e regalando al turista il privilegio dell’offerta “statica”. La mia personale disapprovazione è supportata dalla molteplice bibliografia esistente in merito al nuovo ruolo dei musei, come centri di produzione culturale, ma di fatto non ha avuto nessun credito dinnanzi ai tanti amici felici di celebrare, con un museo dedicato, il loro concittadino. Per un artista anelare al riconoscimento della sua arte è legittimo e se se ne presenta la possibilità nessun biasimo.

Con spirito costruttivo mi auguro che la mostra abbia il rispetto che merita un artista e le sue opere e che possa offrire al “visitatore occasionale” una buona accoglienza. Non lasciatevi ingannare da chi dice che era l’unica chance, non lo è mai stata, negli anni si è sprecata la carta e l’inchiostro con idee concrete e valide purtroppo trascurate e ignorate. L’auspicio era che ci fosse sì uno spazio personale e dinamico per Salvatore Rizzuti, ma altrove e che soprattutto il Museo divenisse il centro contenitore e propulsore dei nuovi e sinergici linguaggi dell’arte. Tuttavia “il fuoco dell’arte” arde incessantemente e genera parole e gesti e tanto più lontano è il suo tepore tanto più vigorosa è la sua fiamma.

Pinuccia Stravalli

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