MAFIA, LA GUARDIA DI FINANZA DI AGRIGENTO CONFISCA BENI PER 7,5 MLN DI EURO

Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Agrigento ha confiscato beni mobili ed immobili per un controvalore di 7.500.000,00 euro nei confronti della famiglia Di Gioia di Canicattì.

Le Fiamme Gialle sono pervenute al risultato dopo un lungo iter giudiziario avviato nel lontano 2009, allorquando il Tribunale di Agrigento rigettò una prima proposta di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali . La successiva opposizione a tale rigetto da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha consentito di ottenere da parte della Corte di Appello di Palermo – V Sezione Penale e per le Misure di Prevenzione – il provvedimento che ha disposto la confisca del capitale sociale e del compendio aziendale della società Di Gioia Metallurgica S.r.l. riconducibile a Calogero Di Gioia, classe 1948.

La fase cautelare è stata portata a termine dai militari del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Agrigento che, ai sensi della vigente normativa antimafia, hanno posto i sigilli sul compendio aziendale della società di carpenteria metallica con sede in Canicattì, costituito da capitale sociale, beni immobili, automezzi, disponibilità finanziarie, attrezzature, macchinari da lavoro e prodotti finiti.

I beni oggetto di confisca, del valore di 7,5 milioni di euro, sono stati affidati ad un amministratore giudiziario nominato dalla stessa Corte di Appello.

L’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale conferma, per gli investigatori, l’elevata pericolosità sociale di Calogero Di Gioia,  determinata dall’appartenenza alla consorteria mafiosa denominata “cosa nostra”, come emerse dall’indagine denominata Camaleonte, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo nell’ambito del procedimento penale nr. 12850/05 R.G.N.R.

Da tali indagini emerse  come Calogero Di Gioia Calogero fosse stato il vero e proprio “trait d’union” tra il boss Giuseppe Falsone, all’epoca latitante e rappresentante provinciale di “cosa nostra”, con il vertice dell’associazione mafiosa, rappresentato in quegli anni da Bernardo Provenzano, Antoninoo Rotolo, Carmelo Cancemi e Giovanni.

La contiguità a cosa nostra sarebbe dimostrata anche dal fatto che il Di Gioia, oltre a partecipare a riunioni ed incontri tra esponenti mafiosi della provincia di Agrigento e Palermo, rebbe stato il referente nella gestione di attività economiche da egli amministrate nel settore della grande distribuzione alimentare e dell’edilizia, acquisendo commesse ed appalti in virtù della sua appartenenza al sodalizio e rafforzarne altresì in tal modo le relative proiezioni affaristiche e finanziarie nel canicattinese.

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