HA LAVORATO A SCIACCA IL CAPO DEGLI SPECIALISTI DEL TRAFFICO CLANDESTINI TRA TUNISIA E SICILIA ARRESTATO IERI

La banda di specialisti del traffico di clandestini tra la Tunisia e la Sicilia, del furto di imbarcazioni già sequestrate agli scafisti e del contrabbando di sigarette, denominata “Barbanera” per via del folto pelo sul viso di Fadhel Moncer, 38 anni, nato a Chebba, da tempo trapiantato nell’Isola e residente a Marsala in contrada Sant’Anna, conosciuto come Giovanni, Boulaya o Barbanera. Il capo della criminale organizzazione adesso è in trappola ed i suoi tesori sotto chiave, grazie  al blitz  della Guardia di finanza scattato ieri tra Palermo, il Trapanese e Lampedusa e culminato con quattordici fermi firmati dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Marzia Sabella e dai pm Federica La Chioma, Geri Ferrara e Claudia Ferrari. Per loro, le accuse di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al contrabbando di tabacchi, furto aggravato e interposizione fittizia, reati aggravati dalla transnazionalità. Dodici sono finiti in manette, mentre due indagati sono latitanti.

“BARBANERA”, CHE HA LAVORATO ANCHE A SCIACCA, VOLEVA FAR SALTARE LA CASERMA DEI CARABINIERI DI MARSALA. Fadhel Moncer detto “Barbanera”, aveva in mente di far saltare in aria la caserma dei carabinieri di Marsala. Un progetto mai realizzato ma del quale c’è traccia nel provvedimento di fermo contro Fadhel Moncer e i suoi complici. «Faccio saltare la caserma, già sto mettendo da parte, ogni volta, uno-due chili… appena cominciano ad essere cinquanta, cento chili, ti faccio sapere com’è – diceva il tunisino trapiantato in Sicilia senza sapere di essere intercettato dagli investigatori -. Ti faccio spostare tutta la caserma a mare… omissis… tu dici, arrivo a scoppiare una bomba dietro la caserma dei carabinieri a Marsala, che succede? Sai, gli sbirri scappano da Marsala».

Moncer era stato fermato dagli investigatori, che lo avevano sottoposto agli arresti. Di lui parla un collaboratore di giustizia, un tunisino che ha deciso di raccontare i traffici nel Canale di Sicilia, e gli investigatori lo definiscono un personaggio pericoloso, dalla spiccata capacità criminale. «Lavora in clandestini e sigarette, lui è quello che ha iniziato per primo questo tipo di traffico – ha messo a verbale il pentito -. è a capo di un’organizzazione molto grande, so dove mette il gommone e dove parte ma con lui non ho mai lavorato, lui abita dopo Mazara del Vallo, lungo la strada di Marsala fino a Menfi. Ha molti locali per tenere le barche, gommoni molto potenti, molte abitazioni, prima lavorava a Sciacca, ora ha cambiato posto, non so però con chi lavori, l’ho solo incontrato a Menfi. Lui è alto, ha sempre il cappello, ha la barba sempre un po’ lunga, non ho foto di lui, lui ha comprato delle ville dopo Mazara del Vallo uno-due anni fa, ha comprato una villa e un’azienda grande, una serra, quando passo vedo casa sua, ha un posto dove mette i gommoni a nome di cittadini italiani e ha un’officina meccanica dove fa riparare i suoi gommoni sempre tramite suoi prestanome. L’officina di meccanico appartiene proprio a Fadel ma è intestata a dei prestanome. Io saprei individuare questi luoghi». Secondo il collaboratore di giustizia, l’uomo sarebbe ricercato in Tunisia per aver sparato a personale della guardia costiera e per tale motivo avrebbe da scontare ventuno anni di carcere.

I SOLDI REINVESTITI IN DIVERSE ATTIVITA’. “Barbanera” avrebbe reinvestito i soldi dei traffici in varie attività e di lui parla anche un collaboratore di giustizia tunisino, che lo ha definito come un potente criminale in grado anche di corrompere le forze dell’ordine. Il sequestro di tre milioni di euro disposto dai magistrati riguarda soprattutto beni a lui riconducibili che sarebbero stati intestati a prestanome.

Si comincia con il ristorante «Onda blu» sul lungomare di Mazzini di Mazara del Vallo, l’azienda agricola «Aj Ali Fraj» in contrada Marcatazzi a Marsala, il cantiere nautico «D’Aleo» in contrada Giletto a Mazara del Vallo. Sotto sequestro anche una decina di auto intestate a vari indagati e due pescherecci, il «Serena» e il «Cesare» intestati ad Angela Consiglio e comandati da Filippo Solina, 51 anni, di Lampedusa, fermato nel blitz insieme con i componenti dell’equipaggio Salvatore Spalma di 29 anni e Francesco Sacco di 53, che avrebbero avuto un ruolo di primo piano nei traffici in mare. Gli altri personaggi finiti in manette sono Fakhri Moncer di 35 anni, residente a Marsala in contrada Ventrischi, fratello del principale indagato, Bessem Alaiba di 34, con casa Mazara del Vallo in via Giovanni Meli ed effettivamente domiciliato in via Sebastiano, Moussa Hedhili di 26, residente a Siracusa e domiciliato a Marsala in contrada Sant’Anna, Nabil Zouaoui di 55 anni, residente a Mazara del Vallo in viale Val di Noto, i palermitani Antonino Lo Nardo di 43 anni, residente in via Salvatore Cusa, Giulio Di Maio di 32, in via Giovanni Argento, Vincenzo Corda di 35, domiciliato in via delle Cliniche, Pietro Ilardi di 44, che abita in via Gaetano Mosca. Sono sfuggiti alla cattura Bilel Said di 33 anni, domiciliato in contrada Marcatazzi a Marsala, e Farhat Khair Eldin di 34 anni, detto Karim, che vive in Tunisia.

Ogni viaggio su potenti e veloci gommoni carenati costava tremila euro a persona (una cifra per ricchi) e spesso le imbarcazioni utilizzate venivano rubate a Lampedusa nei depositi dei natanti sequestrati agli scafisti e poi riutilizzate per i traffici di clandestini e tabacchi. Un affare al quale avrebbe provveduto il comandante dei pescherecci lampedusani, incaricato anche di compiere le consegne in mare a un altro peschereccio tunisino. I viaggi, compiuti in poche ore, servivano anche a trasportare sigarette di contrabbando, che venivano smerciate pure a Palermo nel mercato di Ballarò.

 

IL TUNISINO TENUTO IN GRANDE CONSIDERAZIONE ANCHE DAI CRIMINALI SICILIANI. «Questo si vede che comanda – dicevano alcuni complici parlando del capo – questo è cornuto, come acciaio, parola d’onore».

In base alla ricostruzione degli inquirenti, Moncer – condannato in via definitiva per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina detenzione e porto abusivo di armi e munizioni – sarebbe anche riuscito a corrompere forze di polizia in Tunisia. In alcune conversazioni telefoniche l’indagato diceva di avere sollecitato la falsificazione di verbali di arresto e di avere pagato una tangente ai funzionari locali della polizia tunisina della città di Kelibia in occasione del fermo, avvenuto in quell’area, di uno dei componenti dell’organizzazione.