DOPO 72 ANNI MONS. LICATA TRASLATO NELLA “SUA” CHIESA MADRE (fotogallery)

Ieri pomeriggio, monsignor Nicolò Licata è stato traslato nella sua chiesa Madre di Ribera. Dopo 72 anni, adesso riposa nel luogo sacro che lui ha tanto amato e per il quale ha tanto dato. L’iter è stato lungo, ma alla fine il sogno si è concretizzato. Un sogno voluto dal Circolo Culturale di Sciacca “Mons. Licata”, e carezzato fortemente dal dottor Filippo Chiappisi. Un contributo significativo è stato messo a disposizione dalla cugina Pia Di Leo Furnari per realizzare l’idea di traslare l’arciprete Licata dal cimitero di Ribera all’interno della chiesa Madre.

Un iter lunghissimo, complesso, e sostenuto senza risparmio di fatica da Ignazio Matinella, Raimondo Lentini (autore della biografia dell’arciprete Licata, un libro da leggere assolutamente), Mimmo Macaluso, Rosario Sgrò, dall’arciprete Giuseppe Maniscalco.

Molti saccensi e riberesi, non più giovani, hanno nella memoria ciò che monsignor Nicolò Licata, nato a Sciacca il 20 aprile 1870, ha fatto per i deboli, per i poveri. E’ stato un prete, giornalista e tribuno del popolo.

“…a fianco dei marinai di Sciacca e di porto Empedocle, dei contadini di Sciacca e di Ribera, di Calamonaci e di Cianciana, degli zolfatai di Aragona e Comitini…degli operai e degli artigiani di tutti i paesi ad occidente di Agrigento i quali, avendo trovato in Nicolò Licata il loro leader, forte dell’amore di Dio e del prossimo, sono riusciti a scrollarsi di dosso quel senso di inferiorità e di impotenza che li attanagliava dinanzi ad un regime liberalmassonico insensibile alla giustizia sociale cui essi anelavano”(Frase tratta dal libro biografico dell’Arciprete a cura di Gerlando e Raimondo Lentini).

Monsignor Nicolò Licata faticò non poco per completare la chiesa Madre. Il 12 giugno 1913 parte per l’America, per cercare contributi fra i paesani emigrati. “ Qui non è possibile trovare le somme necessarie ai lavori di facciata della Matrice (di Ribera). Debbo dare 10000 lire agli operai e non ho un soldo“.

Per fare sentire la sua voce a difesa dei deboli, dei lavoratori, fondò il giornale “Il Lavoratore”.  Le  pagine del giornale furono una preziosa sorgente di sapere per la gente, ma il giornale fu anche una formidabile eco che risaltava i disagi sociali verso una classe politica che si scopriva sempre più refrattaria alle istanze dei lavoratori. Un prete,un giornalista, un uomo di Dio, che non ebbe paura del potere dei potenti e che amava dire “uno dei difetti di carattere  per cui noi siciliani non sappiamo mettere in efficienza i nostri valori è la mancanza di continuità nelle iniziative, di persistenza nel lavoro per il raggiungimento di un ideale. Appena ci troviamo soli o incontriamo il primo ostacolo nella via, che di lontano abbiamo vagheggiato luminosa e bella, ci sentiamo cascare con il cuore le braccia, ci abbattiamo per via e brontoliamo contro la tristezza dei tempi, ritorniamo sui nostri passi, ci ritiriamo nel nostro guscio. Eppure bisogna battere la breccia finchè si spezzi, bisogna soffiare sul fuoco finchè il ferro si scaldi”.

Gli anni successivi del dopoguerra, grazie all’operato del prete e di suo zio Franco Di Leo, deputato all’Ars, e agli strumenti sociali che essi misero in essere, rappresentarono il capovolgimento di quella situazione quasi medievale in cui Ribera versava. Nasce da qui la lunga svolta del popolo riberese che lo vede assurgere fino ai giorni nostri protagonista dell’economia agricola della provincia di Agrigento. Pilastri di tale capovolgimento furono, oltre alla tenacia del prete illuminato, due strutture da lui fondate in collaborazione con lo zio Franco Di Leo: la Cassa Rurale di Ribera, poi divenuta Banca Popolare di Ribera, e la Cooperativa Agricola.

Nel gennaio 1906, si costituisce a Sciacca il Comitato pro Ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle. Monsignor Licata ne fa parte e il 29 gennaio viene diffuso un appello: “ “Troppo abbiamo atteso, troppo abbiamo pazientato. Cessino, pertanto, dinanzi al comune interesse le gare meschine e le divisioni di parte, e nell’unità d’intenti e nella virilità dei propositi, mostriamo una volta che il popolo siciliano, quando vuole, sa ritrovare la sua antica energia”.

Lottò senza tregua il latifondo. “Veramente il latifondo è una palla di piombo legata ai piedi della Sicilia. Portiamo un esempio che cade sotto i nostri occhi: Ribera. E’ una graziosa cittadina che si avvia a diventare uno dei migliori e importanti comuni della Provincia. Qual’è intanto uno dei principali ostacoli al suo sviluppo? Il latifondo, che lo serra per due terzi in una morsa di ferro sino alle case del paese. Per il latifondo noi abbiamo in Ribera un ceto agricolo povero in canna. Di conseguenza il maggiore contingente degli emigrati riberesi lo dà il ceto agricolo. Colle sue meravigliose terre, in   gran parte irrigate, la produzione agraria di Ribera darebbe il triplo senza il latifondo. Aggiungiamo ancora che Ribera, quantunque ben messa, non ha aria buona e fresca, non già per i fiumi che sono lontani, ma per la mancanza di alberi attorno al paese. Guardatelo. appena gli alberi del fondo Pasciuta a mezzogiorno e poi tutto il resto è deserto”.

Si batè per la realizzazione della ferrovia Castelvetrano-Agrigento. Dura e lunga fu la lotta capeggiata dal monsignore, animato da un’eccezionale carisma che trasformava  anche il più  accanito pessimista. E così, dopo innumerevoli sproni e denunce dalle colonne del giornale, il 3 settembre 1916 il treno arrivava a Ribera. I lavori per il completamento della tratta continuarono speditamente.

Concepì la politica solo come  servizio per la collettività. Vi partecipò direttamente nel 1901 con le elezioni comunali di Sciacca.  Eletto consigliere comunale, nel suo primo intervento nella seduta per l’elezione del Sindaco chiarì esplicitamente  la sua posizione:  “Non sono un calatesta automatico, né un oppositore sistematico. Pertanto combatterò il male ovunque si annidi, appoggerò il bene da qualunque parte venga, sia dalla maggioranza nella quale conto carissimi amici, sia dall’opposizione, nella quale ammiro nobili aspirazioni”. La sintesi dell’azione politica di padre Licata è chiarissima nelle sue parole: “nutro un programma sociale e politico nel quale il miglioramento materiale dei lavoratori si accoppi con quello morale”.

Un esempio di valori che oggi dovrebbero rappresentare la stella polare dei politici.

Ieri pomeriggio si è svolta la celebrazione e la traslazione nella chiesa Madre. Un ricordo di straordinaria intensità è stato offerto dall’arciprete di Ribera, don Giuseppe Maniscalco. E’ in programma una cerimonia solenne e l’organizzazione di un convegno per ricordare ciò che monsignor Nicolò Licata ha rappresentato per Sciacca e Ribera. Per meglio comprendere la statura di monsignor Licata è consigliato leggere il libro scritto da Raimondo Lentini.

Filippo Cardinale