SCIACCA- C’è un capitolo importante nella storia dell’ospedale di Sciacca. Una storia che attraversa la vita ospedaliera dalla via Figuli fino alla via Pompei. Quarantuno anni di servizio assicurati con serietà, qualità, dedizione. Un servizio estremamente utile per chi l’ospedale lo ha vissuto come paziente, ma anche come dipendente sanitario, infermieristico, ausiliario. Un servizio importante per i familiari dei pazienti. E’ finita una era di gestione della famiglia D’Antoni.
Un libro di capitoli importanti chiusi con l’ultimo scritto malamente attraverso un contenzioso. Senza entrare nel merito del medesimo, stupisce che un servizio così importante sia stato chiuso privando utenza e dipendenti del servizio bar. Si attende il nuovo bando di affidamento. Ma perchè non consentire l’erogazione del servizio di ristoro fino all’avvenuto affidamento? E se la gara partorisce un contenzioso tra chi partecipa? Bisognerà aspettare i tempi della giustizia che, certamente, non sono brevi?
Alla fine di un lungo contenzioso, il rapporto con l’Asp è il quarantennale gestore si è concluso con un capitolo triste. Il tutto in attesa di indizione di una gara per un nuovo affidamento. Gara che però non c’è ancora stata. Qual è il risultato? Che il punto ristoro del “Giovanni Paolo II” è chiuso. Perché le cose, ancora una volta, dalle nostre parti devono andare sempre in modo strano. Sì, strano, come quando “Ivano” Verdone chiede a “Jessica” Gerini: “A Gessica, che dici? ‘O famo strano?”.
E nella storia del bar dell’ospedale di Sciacca mi viene in mente il caro collega Massimo D’Antoni. Egli ha trascorso le sue estati da adolescente, ci ha lavorato mentre era studente universitario fino alla laurea, ha conosciuto tutti gli operatori sanitari, ha imparato un sacco di lezioni di vita, in estrema sintesi Massimo è cresciuto nelle mura di via Figuli.
Si chiudono (per la verità male) 41 anni di onorato svolgimento del proprio lavoro della famiglia D’Antoni, costretta a lottare con tutte le forze contro imboscate continue, solo in parte provenienti dalla scontata invidia di chi non aveva pensato prima di loro a quella opportunità di lavoro.
Rattrista accedere al Giovanni Paolo II e vedere il bar chiuso e, inevitabilmente, assistere a disagi per dipendenti, pazienti e familiari dei pazienti. Non c’è una logica. Del resto, a Sciacca è difficile individuare una logica nella vocazione cittadina a formare gineprai seriali.
Filippo Cardinale
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