TRIBUNALE: IN ESCLUSIVA LA “RELAZIONE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO” CHE DETERMINA LA CHIUSURA

Pubblichiamo la relazione di 44 pagine di cui tanto si parla ma che nessuno conosce. Noi, smentiti da Marinello (Pdl) oggi rendiamo pubblico a tutti un atto fondamentale

Pubblichiamo per intero le 44 pagine della relazione della Commissione di studio sulla riforma della geografia giudiziaria. Non facciamo nessun commento, ma ribadiamo che ciò che abbiamo scritto sulla soppressione del Tribunale è il frutto dello stato attuale e reale.

Il Corriere di Sciacca, come al solito non si risparmio in fatica, offre ai lettori, e non solo, lo strumento che è oggetto di discussione. Relazione che nessuno possiede sul territorio. la sua lettura offre il quadro reale attuale.

Il parlamentare del Pdl, Giuseppe Marinello, ha diffuso un comunicato nel quale scrive che  “contrariamente a quanto più volte riportato dalla stampa locale Birritteri (capo dipartimento del DOG e  coordinatore della Commissione incaricata di verificare i parametri di applicazione della legge delega in materia di organizzazione degli Uffici giudiziari), ha confermato l’intendimento di inserire, nella relazione che accompagnerà l’iter decisionale riguardante gli uffici giudiziari del nostro territorio, tutti quegli elementi tendenti ad esaltare le specificità da noi più volte sottolineante, quali ad esempio l’alto indice di criminalità organizzata e la presenza di ingenti investitori, anche stranieri”.

Riconosciamo l’impegno del parlamentare profuso per la difesa di interessi che riguardano l’intera collettività e tutto il territorio, e auspichiamo che le promesse del dottore Birritteri possano presto tradursi in fatti concreti. Ma, per onestà giornalistica, dobbiamo rimarcare che oggi le cose stanno nel modo che vedono soppresso il Tribunale di Sciacca.

Auspichiamo di sbagliarci e attendiamo presto il momento atteso per poter brindare alla permanenza del Tribunale di Sciacca.

Questa la relazione.

Finalità, possibilità e limiti della legge di delegazione: linee generali e dinamica del perimetro applicativo.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella delibera del 22 gennaio 1997, di parere sulla delega al Governo per l’istituzione del giudice unico di primo grado (art. 1 della legge 16 luglio 1997 n. 254), al punto 3b, intitolato “Revisione delle circoscrizioni giudiziarie”, affermava che vi era “la consapevolezza sul dato che un incisivo intervento sulle circoscrizioni giudiziarie in molte realtà locali rischierebbe di attivare fenomeni di opposizione che potrebbero rallentare o compromettere la riforma” in questione, anche se tanto “non risulta sufficiente per evitare di affrontare il problema. Ed anzi un auspicato, ma successivo intervento su tale versante avrebbe l’effetto di creare maggiori resistenze proprio perché sarebbe per molti facile sostenere che l’introduzione del giudice unico è soluzione già sufficiente per fluidificare il tessuto organizzativo degli uffici giudiziari”.
Il Consiglio, d’altro canto, sin d’allora segnalava, “in un’ottica di fattiva collaborazione istituzionale”, che “revisione delle circoscrizioni giudiziarie e giudice unico di primo grado appaiono modelli strettamente intrecciati affinché” si intenda “incidere in modo significativo al fine di ripristinare l’efficienza del sistema giudiziario specie attraverso il recupero di energie lavorative, sovente scarsamente utilizzate”.
Dunque la delega oggi all’esame del presente gruppo di studio si presenta come il naturale e necessario completamento di quel percorso sul piano storico, e in questa cornice sembra vada consapevolmente letta.
La norma di delegazione (art. 1, comma 2, legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), esordisce indicando le finalità dell’attività di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari:
1)    realizzazione di risparmi di spesa e
2)    incremento di efficienza.
Com’è stato osservato nelle riunioni del gruppo di studio, solo dopo l’enunciazione di tali finalità, il legislatore si volge a dettare “principi e criteri direttivi” per la sua concreta applicazione.
Da ciò si desume che i “principi e criteri direttivi” sono già stati valutati dal legislatore come idonei a conseguire le due finalità di “economia” e di “efficienza”, senza quindi che tale idoneità possa essere più messa in discussione o valutata caso per caso. Al legislatore delegato resta il compito di comprenderne la portata  applicativa, seppure individuando i margini di discrezionalità che essa ancora permette.
Ciò vale innanzitutto per il primo criterio (lett. a) introdotto dal verbo “ridurre”, che ha ad oggetto gli uffici giudiziari di primo grado. Per quanto detto si deve presumere che la “riduzione” del loro numero è quindi il mezzo idoneo individuato dal legislatore (giuridicamente “imposto”, quindi, e non più revocabile in dubbio) per ottenere economie ed efficienza.
Il limite del criterio di delega non contiene nessuna specificazione ulteriore rispetto a quella che occorre mantenere gli uffici di primo grado nei comuni capoluogo di provincia, cui si aggiunge il successivo criterio della lettera f), che addiziona l’ulteriore limite, a tratti eccentrico nelle sue perentorie implicazioni, per cui in ogni distretto di corte d’appello o relativa sezione distaccata devono rimanere almeno tre degli attuali tribunali.
Nient’altro dice la lettera a), e in particolare non detta alcun criterio valutativo inerente a possibili ulteriori limitazioni alla riduzione degli uffici di primo grado.
Si potrebbe quindi dubitare che il legislatore delegato sia autorizzato a escludere altri tribunali dalla riduzione, diversi da quelli dei capoluoghi di provincia e ulteriori rispetto al numero minimo di tre per ogni distretto, se non fosse che il senso complessivo del precetto denota, per implicazione, che non si tratta di una soluzione obbligata, posto che resta “ferma la necessità di garantire..” gli uffici in ogni capoluogo di provincia, e dunque questo si atteggia a limite di un perimetro anche diversamente declinabile.
Nel successivo criterio di cui alla lettera b) sono dettati effettivamente alcuni altri criteri “oggettivi ed omogenei” (estensione del territorio, numero degli abitanti, carichi di lavoro, indice di sopravvenienze, specificità territoriali anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, tasso d’impatto della criminalità organizzata, razionalizzazione delle grandi aree metropolitane) destinati però, secondo la lettera della legge, non a determinare come e quanto ridurre il numero degli uffici di primo grado, ma soltanto a “ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l’assetto territoriale degli uffici giudiziari” secondo i criteri anzidetti, alcuni dei quali, come ad esempio la razionalizzazione delle grandi aree urbane, potrebbero essere considerati espressione di una logica non necessariamente finalizzata al contenimento numerico degli uffici giudiziari.
Da una prima lettura congiunta dei punti sub a) e b) della delega, dunque, può dirsi che il legislatore:
–    abbia individuato la riduzione degli uffici di primo grado come mezzo
per conseguire le finalità di economia e di efficienza, verosimilmente la prima attraverso la seconda, proprio a completamento del disegno storico di corretta allocazione delle risorse di cui sopra si è fatto breve cenno;
–    abbia individuato lui stesso i criteri per realizzare tale riduzione;
–    e abbia adottato successivamente i plurimi criteri di cui alla lettera b)
al fine di ridefinire in generale l’assetto territoriale di tutti gli uffici giudiziari coinvolti, anche ammettendo che, alla luce di questi ultimi, sia possibile sottrarre alla riduzione anche alcuni uffici che dovrebbero esserlo in base al criterio formale sub a).
Ma procedendo a una lettura sistematica e non parcellizzata della legge di delegazione, sembra agevole considerare che tutto quanto appena detto non vuol dire che la ridefinizione dell’assetto territoriale implicata dalla lettera b) non debba influenzare l’entità della riduzione di cui alla lettera a), segnandone così lo spessore della declinazione razionale, proprio alla luce del fatto che l’efficientamento del sistema non può che essere l’obiettivo complessivo che l’ordinamento ha fatto nel tempo emergere in termini di precipitato normativo specifico.
Riassumendo:
–    la modalità (e quindi anche l’entità finale) della riduzione è indicata
direttamente dal legislatore, e tocca, astrattamente, tutti gli uffici non aventi sede in capoluoghi di provincia, garantendo soltanto che ce ne siano almeno tre in ogni distretto;
–    i criteri della lettera b) sono destinati a “ridefinire” nel modo più
ragionevole il territorio degli uffici giudiziari interessati, sia ridistribuendo fra quelli residui il territorio di quelli soppressi, sia riequilibrando le competenze di uffici limitrofi, sia eventualmente escludendo dalla riduzione alcuni uffici che dovrebbero rientrare in essa in base alla lettera a), qualora ciò risulti necessario in forza dell’applicazione oggettiva e omogenea dei criteri di cui alla lettera b).
Il peso specifico e la possibile operatività specifica dei criteri saranno analizzati in altra parte della presente relazione.
In questa sede preliminare può dirsi che i criteri sub b) dovranno essere adottati innanzitutto per stabilire a quale dei tribunali residui limitrofi a quelli soppressi vada attribuito il territorio in precedenza rientrante nella competenza di questi ultimi, cercando di perseguire il criterio della maggiore omogeneità di dimensioni possibile. L’obiettivo previsto dalla legge resterà pur sempre quello di
fare in modo che tutti i tribunali italiani abbiano analoghe dimensioni, perché siano dimensioni idonee a funzionare con efficienza e quindi economia.
Applicare il punto b) ai soli fini di riassegnazione del territorio e del personale degli uffici da ridurre appare allora obiettivo minimale, che non assorbe tutto il contenuto di questo criterio di delega che, come si è visto, si esprime invece in via “generale”, consentendo al legislatore delegato di “ridefinire” il territorio giudiziario, e non solo la parte di esso interessata dalla riduzione del numero degli uffici.
I criteri sub b), infine, dovrebbero essere finalizzati anche all’applicazione della lettera f) della delega, e soccorrere per stabilire, quando ve ne sia più di uno, quale tribunale non avente sede in un capoluogo di provincia debba essere escluso dalla riduzione per far sì che ne siano presenti almeno tre in ogni distretto di corte d’appello. In questo caso la logica applicativa dovrà essere diversa da quella prima descritta, perché dovrà tendere non alla rilevazione di eventuali ed eccezionali casi particolari, ma alla comparazione tra più situazioni, in ipotesi nessuna delle quali di per sé meritevole in astratto di costituire un’eccezione alla regola formale sub a), volta a individuare l’ufficio la cui permanenza costituisca comunque il minor danno possibile sul piano funzionale.
Quanto agli uffici di procura, la lettera c) della delega, con portata indubbiamente originale, indica la “possibilità di accorpare più uffici ~ anche indipendentemente dall’eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo, in tali casi, che l’ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più tribunali..”. Tale previsione, in sostanza, supera la tradizionale – ma non imposta da alcun principio immanente – simmetria tra uffici giudicanti e uffici requirenti, indicando le finalità di tale soluzione sulla falsariga di quelle già poste a base dei criteri sub b) (funzionalità, efficienza, specializzazione, agevole trattazione dei procedimenti).
La previsione, su cui si tornerà partitamente nel prosieguo dell’analisi, in astratto consentirebbe di incrementare le funzionalità operative dell’ufficio favorendo lo sviluppo delle specializzazioni professionali da parte di chi ne faccia parte, e riducendo i conflitti su base territoriale.
Ma al di là delle controindicazioni connesse all’eccentricità della soluzione rispetto all’attuale sistema, la portata innovativa della delega si vedrà essere in ogni caso limitata da un inciso contenuto all’inizio della lettera c), in base al quale rimane “ferma la permanenza” degli uffici requirenti non distrettuali “aventi sedi presso il tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluoghi di provincia”.
 
La lettera d) della delega riguarda le sezioni distaccate di tribunale, e ne prevede semplicemente la “soppressione” ovvero la “riduzione”, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b).
E’ evidente in questo caso che la logica della delega è ben più incisiva rispetto a quella che riguarda la riduzione dei tribunali, poiché nessun vincolo, se non di metodo, è dato all’operazione di ridefinizione. E’ possibile ritenere, quindi, che le sezioni distaccate potrebbero anche essere tutte soppresse qualora l’analisi dei criteri di cui alla lettera b) non rivelasse alcuna situazione tale che ne giustifichi la permanenza.
Naturalmente, e pertanto, resta il fatto che questo studio preliminare mira ad illustrare una proposta che non può essere di soppressione della sezione distaccata come forma generale di organizzazione territoriale della giurisdizione, quanto “soltanto” di supportare la definizione dei criteri che giungono a delimitare quelle effettivamente riducibili, e questo nonostante i due approcci possano in astratto portare al medesimo risultato.

Il mandato del gruppo di studio: in particolare, l’estraneità a esso dei criteri relativi alla riorganizzazione della giustizia di pace, e gli oneri di coerenza interna derivanti dalla deliberazione del consiglio dei ministri del 16 dicembre 2011.

Con provvedimento del consiglio dei ministri del 16 dicembre 2011 è stato approvato il primo schema di decreto legislativo attuativo della delega, concernente gli uffici di prossimità.
Ciò sta a significare che la riorganizzazione della giustizia di pace può considerarsi estranea al concreto mandato propositivo del gruppo di studio, anche se non estranea al suo mandato di analisi, posta l’immanente necessità di non varare impianti normativi logicamente configgenti tra loro nell’esercizio complessivo della medesima delega.
Come rileva la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo appena menzionato, l’approccio metodologico scelto ha evidenziato l’opportunità di procedere per tipologia di ufficio, muovendo dall’analisi delle strutture collocate alla base del sistema giudiziario, vale a dire, appunto, gli uffici del giudice di pace.
Riguardo a tali ultimi uffici la legge n. 148 del 2011 ha previsto che oggetto della revisione in questione fossero esclusivamente gli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale.
 
I criteri direttivi indicati dal legislatore per attuare l’operazione di riduzione degli uffici del giudice di pace sono, in particolare, quelli di cui all’art. 1, comma 2, lett. l) della legge delega. Norma che prevede venga previamente operata, relativamente gli uffici in parola, una specifica analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro.
È necessario in quest’ottica osservare se le scelte preliminarmente fatte dallo schema di decreto legislativo menzionato implichino, o meno, particolari oneri di coerenza interna.
L’attuale assetto territoriale di tale tipologia di uffici, istituiti con legge 21 novembre 1991, n. 374, risulta caratterizzato da un’elevatissima, quasi singolare articolazione delle sedi giudiziarie, determinando sicuramente nel complesso, e strutturalmente più che per gli altri uffici giudiziari, un’eccessiva frammentazione delle risorse umane e strumentali allo stato disponibili per l’amministrazione della giustizia, ancor più evidente se rapportata agli effettivi carichi di lavoro e alle esigenze operative delle altre articolazioni.
Per conseguire l’obiettivo di una razionalizzazione nella distribuzione degli uffici del giudice di pace e delle risorse umane a questi afferenti si è operata un’analisi statistica multivariata, caratterizzata, da un lato dall’individuazione della capacità di smaltimento effettivo, a livello nazionale, dei giudici in servizio nel periodo di riferimento e, dall’altro, dall’individuazione dei carichi di lavoro del singolo ufficio, ottenuta suddividendo le iscrizioni rilevate per la dotazione organica prevista.
Si è provveduto a individuare l’effettivo smaltimento pro-capite realizzato dai giudici di pace su base quinquennale. In sostanza, dividendo il numero complessivo di procedimenti definiti per le unità di personale presenti è stato individuato il numero medio di provvedimenti esauriti nell’anno da un singolo giudice. La produttività media è stata assunta quale misura ragionevole della “capacità unitaria di smaltimento” dei procedimenti, intendendosi per tale il numero di procedimenti definibili da ogni singolo giudice previsto in pianta organica. Il “valore soglia” ottenuto ha rappresentato così il carico di lavoro mediamente sostenibile dal personale giudicante nel corso dell’anno solare.
Successivamente si è proceduto alla determinazione dei carichi di lavoro pro-capite dei singoli uffici rapportando per ciascuno di essi i procedimenti sopravvenuti alla relativa pianta organica, quale misura della “domanda di giustizia” rivolta. Quindi si è passati all’individuazione degli uffici con carico di lavoro inferiore alla media nazionale di produttività annuale pro-capite dei giudici di pace.
Le risultanze dell’analisi sono state poste a confronto con i valori rilevati dall’esame dei dati riferiti al bacino di utenza delle sedi giudiziarie, assumendo quale parametro di riferimento ai fini della valutazione sull’opportunità del mantenimento di un presidio giudiziario, una popolazione residente pari ad almeno 100.000 abitanti residenti.
In sostanza, il dato riferito alla popolazione è stato assunto quale criterio integrativo dell’analisi fondata sul carico di lavoro sostenibile.
Tale metodologia ha consentito infine la generazione di un elenco di uffici con un numero di iscrizioni pro-capite inferiori al valore soglia, cioè alla capacità di smaltimento di un singolo giudice e un bacino di utenza inferiore alle 100.000 unità.
Sulla base della metodologia adottata, il carico di lavoro afferente a tali uffici si è quindi assunto che non giustifichi la previsione in organico delle unità di personale giudicante assegnate, che, mediante l’accorpamento delle sedi giudiziarie, possono più opportunamente essere utilizzate laddove la domanda di giustizia è più elevata.
Ciò premesso, si può notare agevolmente e si noterà meglio nel prosieguo di questa relazione, che l’analisi riferita agli uffici di prossimità, in linea con la loro stessa natura meno strutturata in termini di competenze e implicazioni organizzative, ha cadenze semplificate rispetto a quelle degli altri uffici giudiziari.
Del resto, la legge di delega prevede un’apposita lettera (si è ricordato essere la l), che mentre richiama solo alla coerenza con i criteri generalmente validi di cui alla lettera b), così da scongiurare radicali asimmetrie di sistema, indica lo specifico parametro dell’analisi dei costi rispetto ai carichi di lavoro, segnando marcatamente l’autonomia della metodologia fruibile per questo profilo di esercizio dei poteri ad opera del legislatore delegato.
Quanto alla riassegnazione dei magistrati onorari in servizio presso gli uffici soppressi del giudice di pace, la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo osserva che la legge di delega non ha indicato i criteri per il trasferimento dei magistrati in questione e, dunque, il decreto ha ritenuto di lasciare tale valutazione a un atto regolamentare come quello già previsto dalla legislazione vigente per l’assegnazione alle sedi del personale della magistratura onoraria.
Il medesimo articolo prevede anche, in conformità a quanto previsto dalla lettera m) della delega, che il personale amministrativo in servizio presso gli uffici soppressi del giudice di pace venga riassegnato in misura non inferiore al 50 per cento alla sede di tribunale o di procura limitrofa e, nella restante parte, all’ufficio del giudice di pace presso il quale sono trasferite le relative competenze.
Anche in tal caso, le scelte, di natura prettamente organizzativa, non pare possano, nella loro specificità, individuare criteri logici vincolanti quanto al resto dell’esercizio della delega.
Un cenno specifico va fatto alla disciplina transitoria relativamente ai procedimenti in corso presso gli uffici del giudice di pace soppressi.
Si prevede che nei sei mesi successivi all’efficacia del nuovo disegno degli uffici, le udienze precedentemente fissate dinanzi al giudice di pace di uno degli uffici soppressi siano tenute presso i medesimi uffici. Gli eventuali rinvii saranno in tal caso effettuati dinanzi al nuovo ufficio competente. In tutti gli altri casi, invece, verrà fissata una nuova udienza dinanzi al nuovo ufficio competente.
La relazione si richiama alla costante giurisprudenza in materia penale, “la quale ha ritenuto che «l’inesatta indicazione del luogo di comparizione integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 601 commi 3 e 6, 429 comma 1 lett. f), 178 comma 1 lett. c) e 179 comma 1 c.p.p., in quanto la trattazione della causa in un luogo diverso da quello fissato per la comparizione nel decreto di citazione impedisce l’intervento dell’interessato e l’esercizio del suo diritto di difesa, equivalendo ad omessa citazione» (Cass. sez. I, sent. n. 18942 del 26 aprile 2001; v. anche in senso conforme Cass. sez. II, sent. n. 43903 del 17 novembre 2009: «la nullità del decreto di citazione a giudizio è stabilita dall’art. 552 c.p.p. (prima 555 c.p.p.), comma 1, lett. d) e comma 2, soltanto quando l’indicazione del luogo (e del tempo) di comparizione manca o è inidonea allo scopo di informare le parti e i loro difensori degli elementi topografici (e cronologici) necessari per l’esercizio dei loro diritti»)”.
La modifica del luogo di trattazione dell’udienza, pertanto, dovrà essere sempre opportunamente comunicata alle parti interessate.
Si specifica che il carattere generale della norma sul regime transitorio trova applicazione anche nell’ipotesi del processo civile davanti al giudice di pace.
Anche in questa ipotesi, si distinguono le ipotesi in cui le udienze precedentemente fissate dianzi al giudice di pace ricadano nell’arco temporale successivo al termine fissato per l’efficacia del decreto legislativo, da quelle in cui l’udienza è fissata oltre il predetto termine o deve ancora essere stabilita. In tal caso, la disposizione transitoria, al fine di evitare che si determini una nullità dell’atto introduttivo del giudizio per l’incertezza circa l’organo giudiziario di fronte al quale la domanda è proposta (trovando applicazione, nel procedimento di fronte al giudice di pace, la norma generale dell’articolo 164 c.p.c.), prevede la fissazione di una nuova udienza di fronte all’ufficio del giudice di pace cui è attribuita la competenza per effetto dell’avvenuta soppressione.
La natura semplificata del procedimento sia civile che penale davanti al giudice di pace sembra però implicare che le scelte così fatte non debbano essere necessariamente quelle da seguire per ciò che riguarda i procedimenti davanti agli altri uffici giudiziari. Ma di questo si parlerà al termine della presente relazione.
 

Categorie della legge delega: uffici giudiziari, aree metropolitane, distretti, capoluoghi di provincia, sezioni distaccate.

A livello generalissimo, e rinviando ancora ai paragrafi specifici l’esame delle questioni partitamente affrontate, va detto che la legge di delegazione individua una serie di categorie normative che ne denotano l’impianto sistematico.
A fianco della menzione degli uffici giudiziari, requirenti e giudicanti, di primo e secondo grado, incluse le sezioni distaccate, e cioè in uno a categorie per così dire collaudate sul piano ordinamentale e processuale, anche nei loro riferimenti amministrativi ai capoluoghi di provincia, in specie la lettera b) dell’art. 1 comma 2 della legge di delegazione menziona l’esigenza di razionalizzazione del servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane, in un contesto discorsivo che autorizza a ridefinire l’assetto territoriale degli uffici giudiziari.
Si potrebbe qui dire, quale accenno in limine, che la norma autorizzi, sia pure in modo derivato e non esplicito, l’ipotesi dei tribunali metropolitani, ossia, come il Consiglio Superiore della Magistratura già in una lontana delibera del 25 maggio 1994 osservava, l’opzione del frazionamento, anche solo organizzativo (ma compiuto) e non in termini di vera e propria competenza processuale, di grandi aree metropolitane la cui ampiezza urbana non permette fisiologicamente, a date premesse, un’erogazione efficiente del servizio giurisdizionale.
Per gli stessi motivi sembra più difficile ipotizzare soluzioni – analoghe a quelle rinvenibili ad esempio nell’ordinamento francese – di redistribuzione per materia delle competenze giurisdizionali ordinarie sul medesimo territorio metropolitano. Difatti, quest’esercizio della delega dovrebbe ritenersi consentito dal  riferimento – in tesi nella sua massima portata semantica – all’assetto territoriale degli uffici giudiziari, e quindi all’allocazione efficiente, per ambiti contenutistici, su quel perimetro spaziale, delle risorse disponibili.
Va anche detto che la segmentazione per materia delle competenze implica comunque un’inefficienza nell’erogazione del servizio giustizia, incrementando soluzioni giurisdizionali in rito e non nel merito delle controversie.
 

Le soluzioni possibili per il perimetro distrettuale: le ragioni per il mantenimento dello status quo.

Prima di entrare ancor più in medias res, sembra opportuno rilevare che la legge di delega non vieta esplicitamente una rivisitazione del perimetro distrettuale, posto che:
1)    la lettera a) del comma 2 dell’art. 1 più volte citato discorre di riduzione degli uffici giudiziari di primo grado, e, in sequenza,
2)    la lettera b) dà mandato per ridefinire l’assetto territoriale degli uffici giudiziari “anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi”, evocando così il limite naturalmente corrispondente -ma non già assoluto- del circondario, appunto;
3)    la successiva lettera c), regola il criterio di delega specificamente concernente le procure evocando la ridefinizione dell’assetto territoriale degli uffici requirenti non distrettuali, senz’altro; e, infine,
4)    la lettera f), sull’irriducibile limite dei tre uffici per ciascun distretto di corte d’appello, nulla aggiunge sopra la possibilità di razionalizzare quest’ultima macro-area di giurisdizione.
Sennonchè, proprio il dato relativo all’esistenza di distretti anche con circondari di numero inferiori a tre impedirebbe di garantire, in questi casi, l’incremento a tale numero minimo, pur considerato indefettibile; infatti, l’operazione non potrebbe comunque venir assicurata, come altrimenti dovrebbe, mediante “gli attuali tribunali”.
Deriva soprattutto di qui, allora, la convenzione interpretativa che è stata adottata e che esclude l’ammissibilità di una prioritaria ridefinizione di ciascuna area distrettuale, pur non esplicitamente vietata, non essendo garantito ex ante dalla contraria ipotesi ermeneutica la realizzazione dello stesso standard minimo di inclusione in ogni distretto di tre degli “attuali tribunali”.
In definitiva, gli “attuali tribunali” sembrano implicare logicamente gli attuali distretti.
 
Le soluzioni possibili per gli uffici requirenti: le ragioni per il mantenimento dello status quo. In particolare la necessità di mantenere l’attuale simmetria fra gli uffici del P.M. e quelli del corrispondente tribunale, con conseguente non esercizio della delega su questo specifico punto. La prospettiva di un’integrale revisione della distribuzione sul territorio degli uffici requirenti.

Come si è appena visto, nell’ambito dei principi e criteri direttivi ai quali dovrà attenersi il Governo nell’esercizio della delega, è prevista, all’art. 1 comma 2 lett. c), la ridefinizione degli assetti territoriali degli uffici requirenti non distrettuali da realizzarsi mediante accorpamento di più uffici di procura anche indipendentemente dall’eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali; si stabilisce, poi, che, in tali ipotesi, l’ufficio accorpante eserciti funzioni requirenti presso più tribunali, quello presso il quale l’ufficio stesso è istituito nonché quelli relativi agli altri tribunali non provinciali presso i quali si è ritenuto di sopprimere solo l’ufficio requirente. Ed ancora è il legislatore a prevedere che la suddetta forma di accorpamento di uffici giudiziari, inedita rispetto al passato, che si caratterizza per un’indubbia originalità determinando la rottura di quella simmetria fino ad oggi esistente, in ogni sede giudiziaria, fra l’ufficio giudicante e quello requirente, salvo le eccezioni derivanti dalla competenza distrettuale delle D.D.A., di cui nel seguito si dirà, debba essere finalizzata a perseguire esigenze di funzionalità ed efficienza idonee ad assicurare una migliore organizzazione dei mezzi e delle risorse umane nella direzione di consentire una maggiore specializzazione dei magistrati ed una conseguente più agevole trattazione dei procedimenti.
E senza dubbio l’attuazione della delega, nei termini ora menzionati, consentirebbe di risolvere molti dei problemi che attualmente affliggono diversi uffici di procura: difatti le ridotte e talvolta ridottissime dimensioni di alcuni uffici del P.M. 1, impediscono di fatto lo

(Procure della Repubblica con un organico fino a 5 magistrati: 1) Avezzano, 2) Chieti, 3) Lanciano, 4) Sulmona, 5) Vasto, 6) Lagonegro, 7) Melfi, 8) Castrovillari, 9) Rossano, 10) Ariano Irpino, 11) Sant’Angelo dei Lombardi, 12) Sala Consilina, 13) Vallo della Lucania, 14) Tolmezzo, 15) Chiavari, 16) Imperia, 17) Crema, 18) Cremona, 19) Lecco, 20) Pavia, 21) Vigevano, 22) Voghera, 23) Ascoli Piceno, 24) Camerino, 25) Urbino, 26) Isernia, 27) Larino, 28) Acqui Terme, 29) Alba, 30) Biella, 31) Casale Monferrato, 32) Ivrea, 33) Mondovì, 34) Pinerolo, 35) Saluzzo, 36) Tortona, 37) Vercelli, 38) Lanusei, 39) Tempio Pausania, 40) Enna, 41) Nicosia,42) Caltagirone, 43) Modica, 44) Mistretta, 45) Patti, 46) Sciacca, 47) Montepulciano, 48) Rovereto, 49) Orvieto, 50) Spoleto, 51) Terni, 52) Aosta, 53) Bassano del Grappa. Appare, al riguardo significativo evidenziare che tra i suddetti uffici, quelli di cui ai nn. 3), 4), 5), 6), 11), 12), 17), 24), 25), 28), 31), 33), 35), 36), 38), 43), 44), 47), 48), 49), 50), per un totale di n. 21 uffici, registrano una pianta organica, compreso il Procuratore, di n. 3 magistrati. Deve essere ancora evidenziato che nell’ambito degli uffici sopra indicati restano esclusi, per espressa previsione normativa, da qualsiasi intervento soppressivo quelli di cui ai nn. 2), 16), 18), 19), 25) , 26), 30), 37), 40), 51), 52), in quanto uffici del P.M. istituiti presso tribunali provinciali)
 
sviluppo di specializzazioni professionali daparte dei magistrati che ne fanno parte, i quali si vedono costretti a occuparsi, in modo sporadico e occasionale, delle più svariate materie, essendo loro impedita qualsiasi seria possibilità di approfondimento tecnico specialistico e di crescita professionale. E di certo l’indicazione vale anche per il personale amministrativo e per quello di Polizia giudiziaria, che pure necessità di una particolare e diversificata preparazione a seconda delle materie trattate; il tutto logicamente ha un costo in termini di efficienza complessiva dell’azione requirente ed in particolare in termini di celerità nella definizione dei procedimenti assegnati all’ufficio.
Ed infine va preso in considerazione il limite derivante dalla regola fissata dall’art. 1 comma 2 lett. F), in base alla quale, all’esito degli interventi soppressivi, dovranno permanere in ogni distretto di corte d’appello almeno tre degli attuali tribunali con le relative procure della Repubblica; e segnatamente ciò comporta che: nel distretto di Potenza potrà essere soppresso un solo ufficio, scelto fra Lagonegro e Melfi; nel distretto di Salerno potranno essere soppressi due uffici, scelti fra Nocera Inferiore, Sala Consilina e Vallo della Lucania;; nel distretto di Bari potrà essere soppresso un solo ufficio scelto fra Lucera e Trani; nel distretto di Caltanissetta potrà essere soppresso un solo ufficio scelto fra Gela e Nicosia; nel distretto di Messina potrà essere soppresso un solo ufficio scelto fra Barcellona Pozzo di Gotto, Mistretta e Patti; nel distretto di Perugia potrà essere soppresso un solo ufficio scelto fra Orvieto e Spoleto. Invece nei seguenti distretti o sezioni distaccate non potrà essere soppresso alcun ufficio: Reggio Calabria, Cagliari, Campobasso, Lecce, Taranto, Cagliari, Sassari, Trento, Bolzano.
Non può, al riguardo, omettersi di segnalare le incongruenze che scaturiranno in termini di distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, dall’applicazione della ora richiamata regola, contenuta nella legge delega: difatti il criterio della dimensione minima del distretto di corte d’appello o relativa sezione distaccata, fissato dalla L. 148/2011, in relazione al numero di tribunali in esso compreso, soffre già, prescindendo dalle modalità attuative della delega, di significative ed apparentemente ingiustificate eccezione: così oltre al distretto di Lecce, che comprende soltanto due tribunali, vi sono la sezioni distaccata di Taranto (Lecce) e di Bolzano (Trento), che comprendono un solo tribunale.
(Procure della Repubblica con un organico fino a 10 magistrati: 1) Teramo, 2) Matera, 3) Crotone, 4) 5) Lamezia Terme, 6) Paola, 7) Vibo Valentia, 8) Locri, 9) Avellino, 10) Nocera Inferiore, 11) Ferrara, 12) Forlì, 13) Parma, 14) Piacenza, 15) Ravenna, 16) Reggio Emilia, 17) Rimini, 18) Trieste, 19) Gorizia, 20) Pordenone, 21)    Cassino, 22) Civitavecchia, 23) Frosinone, 24) Rieti, 25) Tivoli, 26) Viterbo, 27) La Spezia, 28) Sanremo, 29) Savona, 30) Mantova, 31) Busto Arsizio, 32) Lodi, 33) Sondrio, 34) Varese, 35) Fermo, 36) Macerata, 37) Pesaro, 38) Campobasso, 39) Alessandria, 40) Asti, 41) Cuneo, 42) Novara, 43) Verbania, 44) Lucera, 45) 46) 47) Oristano, 48) Nuoro, 49) Sassari, 50) Gela, 51) Ragusa, 52) Barcellona Pozzo di Gotto, 53) Marsala, 54) Termini Imerese, 55) Arezzo, 56) Grosseto, 57) Livorno, 58) Pisa, 59) Pistoia, 60) Prato, 61) Siena, 62) Massa, 63) Belluno, 64) Rovigo, 65) Vicenza.
Procure della Repubblica con un organico fino a 20 magistrati: 1) Pescara, 2) Potenza, 3) Cosenza, 4) Palmi, 5) Benevento, 6) Nola, 7) Torre Annunziata, 8) Modena, 9) Udine, 10) Latina, 11) Velletri, 12) Bergamo, 13) Como, 14) Monza, 15) Ancona, 16) Foggia, 17) Trani, 18) Brindisi, 19) Taranto), 20) Caltanissetta, 21) Siracusa, 22)    Agrigento, 23) Trapani, 23) Lucca, 24) Trento, 25) Bolzano, 26) Perugia, 27) Padova, 28) Treviso, 29) Verona.
Procure della Repubblica con un organico fino a 50 magistrati: 1) Catanzaro, 2) Reggio Calabria, 3) Santa Maria Capua Vetere, 4) Salerno, 5) Bologna, 6) Genova, 7) Brescia, 8) Bari), 9) Lecce, 10) Cagliari, 11) Catania, 12) Messina, 13) Firenze, 14) Venezia.
Procure della Repubblica con un organico superiore a 50’ magistrati: 1) Napoli, 2) Roma, 3) Milano, 4) Torino, 5) Palermo)
 
Da un punto di vista strettamente organizzativo, un ufficio requirente unificato, derivante dall’accorpamento di più uffici preesistenti, potrebbe giovarsi delle dimensioni superiori del relativo organico con conseguente possibilità di fare fronte più agevolmente alle sempre più frequenti scoperture di personale amministrativo e giudiziario. È notorio, infatti, che le carenze di organico sono tanto più gravi e irrimediabili quanto più piccole sono le dimensioni dell’ufficio. Inoltre sotto l’aspetto funzionale deve rilevarsi che un eventuale accorpamento di più uffici requirenti consentirebbe di superare, quantomeno parzialmente, tutte quelle difficoltà di coordinamento che nascono dall’esistenza di più uffici del P.M. chiamati ad esercitare le proprie funzioni in ristretti ambiti territoriali, limitrofi e confinanti; esemplificando ci si vuole riferire alle frequenti duplicazioni di attività facenti capo a diversi uffici requirenti con conseguente disorientamento della polizia giudiziaria nonché alle ricorrenti invasioni di campo che determinano contestazioni di competenza e conflitti di vario genere, inconvenienti che potrebbero agevolmente essere superati per mezzo dell’accorpamento di più uffici requirenti limitrofi in un’unica procura della Repubblica avente competenza sul territorio degli uffici accorpati. Del resto le caratteristiche della criminalità odierna, non solo di quella mafiosa, sono tali che l’attività di indagine non si presta ad essere circoscritta ad interventi da svolgersi nel ristretto ambito territoriale di competenza di ciascuna procura circondariale, risultando, nella maggior parte delle ipotesi, quanto mai necessario un unico centro di coordinamento dell’attività requirente competente a esercitare le proprie funzioni nell’ambito di più vasti ambiti geografici, dovendosi, a tal fine, altresì, tener conto della distribuzione territoriale dei servizi di polizia giudiziaria, la cui attività, l’ufficio del P.M. è istituzionalmente chiamato a coordinare.
In relazione a quanto ora evidenziato, il gruppo di studio ha rilevato che il legislatore ha già nettamente prescelto un’opzione volta ad accentrare in sede distrettuale l’esercizio delle funzioni requirenti, sia pure limitatamente ad alcuni reati, che, nel tempo, sono andati via via aumentando: in questo senso si è partiti dalla previsione contenuta nell’ art. 51 comma 3 bis c.p.p., introdotto dall’art. 3 del decreto-legge 20.11.1991, n. 367 convertito nella legge 20.1.1992, n. 8, laddove si prevede che le funzioni di P.M., in relazione ai reati indicati nella citata disposizione, sono esercitate dall’ufficio istituito presso il tribunale del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; successivamente è intervenuto il comma 3 quater, inserito nell’art. 51 c.p.p. dall’art. 10 bis del decreto-legge 18.10.2001, n. 374, convertito nella legge 15.12.2001, n. 438, che ha previsto la competenza del medesimo ufficio del P.M. distrettuale per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo; quindi con il comma 3 quinquies, aggiunto dall’art. 11 della legge 18.3.2008, n. 48, è stata attribuita, sempre all’ufficio del P.M. istituito in sede distrettuale, la competenza in relazione ai delitti consumati o tentati di cui agli artt.
 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 636 bis, 635 ter, 635 quater, 640 ter, 640 quinquies c.p. In sostanza per determinate tipologie di reati, che si caratterizzano tutte per la particolare delicatezza degli accertamenti da compiere, è stata istituita una competenza esclusiva dell’ufficio del P.M. distrettuale, essendosi, di fatto, sensibilmente svuotate di contenuto le funzioni del P.M. competente per ragioni di territorio. E, come sopra si anticipava, per alcune fasi dei procedimenti è saltata anche quella simmetria fra ufficio giudicante e corrispondente ufficio requirente, essendo stabilito che, in fase dibattimentale, sia il P.M. distrettuale a sostenere l’accusa dinanzi al giudice territorialmente competente, salva la possibilità di delega da parte del procuratore generale presso la corte d’appello, su richiesta del procuratore distrettuale, in favore di un magistrato designato dal procuratore della Repubblica presso il giudice competente.
In ragione di quanto detto, può ritenersi che una ridefinizione dell’assetto territoriale degli uffici requirenti, che prescinda da quello dei corrispondenti uffici giudicanti, non possa non tenere conto della sopra indicata tendenza legislativa volta ad accentrare nella sede distrettuale l’esercizio delle funzioni requirenti in relazione a quei reati che presentano particolari difficoltà di accertamento che non si prestano a essere ridotte in ristretti ambiti territoriali; ciò dovrebbe poter comportare un radicale intervento del legislatore sull’organizzazione dell’ufficio del P.M. sul territorio, ipotizzandosi, analogamente a quanto avviene in ordinamenti di altri Paesi, un unico ufficio requirente distrettuale, che esercita, sulla base delle proprie attribuzioni interne, le proprie funzioni dinanzi a tutti i giudici, di primo e di secondo grado, nell’ambito del distretto di corte d’appello. Una soluzione di tal fatta consentirebbe di affrontare, con un approccio risolutivo, ulteriori problematiche relative alla strutturazione dell’ufficio del P.M.: l’attuale esistenza di un secondo ufficio requirente con competenza distrettuale, quale è la procura della Repubblica presso il Tribunali per minorenni, la cui ridotta dotazione organica determina frequenti problemi di concreta gestibilità; la evidente sottoutilizzazione dei magistrati addetti alle procure generali presso la corte d’appello, che potrebbe essere senz’altro superata nell’ambito di un unico ufficio distrettuale, favorendosi la possibilità, peraltro già prevista in via eccezionale, che il magistrato che ha seguito la fase delle indagini preliminari e del dibattimento di primo grado, segua anche la fase delle impugnazioni.
Viceversa, ritornando subito nei limiti della competenza del gruppo di lavoro, si ritiene di dovere sollecitare una lettura della disposizione in argomento aderente a quella che appare la sua stessa ratio giustificatrice: nelle ipotesi nelle quali non si ritenga di addivenire alla soppressione di tutti i tribunali non provinciali (non esclusi dall’intervento soppressivo per espressa disposizione  normativa, secondo quanto precisato nella nota), nell’ottica di realizzazione di risparmi di spesa e di recupero di efficienza che presiede all’intervento normativo, si potrà procedere, quanto meno, all’accorpamento di più uffici di procura. Ma, a questo punto, non può omettersi di rilevare come lo stesso legislatore abbia ridotto notevolmente la portata innovativa della previsione sopra richiamata circa la possibilità di accorpare più uffici requirenti prescindendo dall’eventuale accorpamento dei corrispettivi uffici giudicanti. E difatti, come per gli uffici giudicanti, anche per i corrispondenti uffici del P.M. è stabilita l’esclusione dalla soppressione per quelli aventi sedi nei capoluoghi di provincia. Quindi l’accorpamento di più uffici requirenti, che prescinda dall’accorpamento dei corrispondenti uffici giudicanti, sarà possibile con riferimento agli uffici sub provinciali, in relazione ai quali la commissione ritiene, sulla base di quanto si dirà, si debba procedere alla più ampia soppressione.
 

Gli standard di efficiente allocazione delle risorse giudiziarie enunciati dal Csm ante legem. Il modello ideale di ufficio giudiziario e la conseguente necessità di ridisegnare la geografia giudiziaria del Paese sulla base di esso.

Il Consiglio Superiore della Magistratura è più volte intervenuto sulla materia della revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Da ultimo con la risoluzione approvata dall’assemblea plenaria nella seduta del 13.1.2010, nel ripercorrere le varie delibere che si erano occupate della materia, il C.S.M., avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 10 comma 2 della legge n. 195 del 1958, segnalava ancora una volta al Ministro della Giustizia “l’assoluta ed imprescindibile necessità di attivare una proposta legislativa diretta a rivedere le circoscrizioni giudiziarie“. L’iniziativa scaturiva dalla constatazione dell’assoluta necessità di ridisegnare la geografia giudiziaria del Paese sulla base di criteri di efficienza e modernità nell’esercizio della giurisdizione che tengano conto dei reali bisogni della società civile, superando il modello configurato in occasione della nascita dello Stato unitario di cui alla legge Rattazzi (legge 13.11.1859, n. 3781).
La suddetta risoluzione aveva modo di ripercorrere tutta quella che era stata l’elaborazione dell’organismo di governo autonomo della magistratura sulla tematica della revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Nello specifico già nel parere reso dal C.S.M. l’8.5.1991 in ordine al disegno di legge relativo alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie n. 2478/S era stata rilevata la necessità di superare definitivamente quello snodo nell’ambito del quale si era sempre arenata qualsiasi discussione in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie: appunto la prospettiva del reticolo giudiziario diffuso, idoneo ad avvicinare il più possibile la giustizia al cittadino, si scontrava con l’alto costo amministrativo e di gestione  derivante da una tale articolazione del sistema giudiziario diffusa sul territorio in modo spesso pletorico e sperequato rispetto ad aree diverse. Viceversa si riteneva necessario, da parte del C.S.M., intervenire in modo radicale sulla geografia giudiziaria del Paese individuando la dimensione ottimale dell’ufficio giudiziario sulla base di criteri che assicurassero la massima efficienza, pervenendo così all’istituzione di tribunali omogenei di medie dimensioni. Nello specifico con l’espressione “massima efficienza” ci si intendeva riferire alla: “definizione del maggior numero di affari in tempi stabiliti, con provvedimenti “giusti” e con l’impiego di risorse proporzionate”, rilevandosi altresì che “la massima efficienza si consegue con la sapiente combinazione degli elementi quantitativi e qualitativi: con una organizzazione di uomini e di mezzi, che ai magistrati specialisti consenta di dedicarsi esclusivamente al loro compito, che è studiare meditare e decidere. In sintesi, con un ufficio di dimensione ottimale. La dimensione ottimale dell’ufficio si determina sulla base della considerazione congiunta di fattori molteplici, i quali tra loro interagiscono: principalmente, il risultato, la organizzazione e la domanda”.

Pur riconoscendosi l’impossibilità di fissare in astratto e in modo aprioristico una dimensione ottimale di ufficio giudiziario di primo grado, il C.S.M., sulla base delle considerazioni che nel seguito verranno riportate, riteneva utile fissare come criterio di riferimento, sulla base del quale ridisegnare la geografia giudiziaria, quello dei quaranta giudici per tribunale, fatti salvi eventuali correttivi sulla base delle specificità locali; con riferimento poi agli uffici requirenti la dimensione territoriale degli stessi si riteneva dovesse essere mutuata da quella dei corrispondenti uffici giudicanti.
La problematica della revisione delle circoscrizioni giudiziarie veniva nuovamente affrontata, come già si è detto, nel 1994, in previsione dell’istituzione del giudice unico di primo grado , sostenendosi che, per potere funzionare in modo efficiente, il nuovo modello organizzativo di giurisdizione, che ci si apprestava a introdurre, necessitava di un’adeguata rivisitazione della geografia giudiziaria con individuazione delle sedi di tribunale da mantenere selezionate sulla base di tre indici: 1) capoluoghi di provincia; 2) livello di polarizzazione urbana; 3) ampiezza dell’area di gravitazione per servizi. Ciò comportava, ad avviso del C.S.M., il mantenimento oltreché dei tribunali istituiti nei capoluoghi di provincia, di quelli che “hanno un elevato numero di abitanti e dispongono di un’alta dotazione di servizi interni al centro urbano, elemento fondamentale per l’espletamento di un servizio giustizia all’altezza dei tempi” nonché di quelli istituiti in zone caratterizzate da un alto tasso di criminalità organizzata.

La proposta specifica inviata al Ministro della Giustizia prevedeva, quindi, di mantenere gli uffici giudiziari che: “1) o sono capoluogo di provincia; 2) o sono in zone di forte criminalità organizzata; 3) o sono vicini alle metropoli; 4) o devono possedere le seguenti caratteristiche: a) si collocano in situazioni nelle quali la domanda di
 
giustizia è particolarmente intensa: sono quelle sulle quali gravitano decine di comuni (almeno trenta) o comunque ad alta intensità abitativa; b) si tratta, contemporaneamente, di centri di terzo livello per servizi resi alle imprese e di quarto livello per servizi resi alle famiglie ”.
Nell’occasione era stato anche affrontato il tema dei cosiddetti “mega uffici”, essenzialmente i tribunali istituiti nelle città di Roma, Napoli, Milano e Palermo, le cui dimensioni, in termini di personale amministrativo e giudiziario, già da sole ne determinano l’ingovernabilità. Veniva, al riguardo, proposto un intervento che si muovesse in una duplice direzione: da un lato occorreva limitare la competenza del tribunale metropolitano al territorio del comune, attribuendo ai tribunali limitrofi, preesistenti o di nuova istituzione, quelle ulteriori porzioni di circondario; da un altro lato si proponeva un’ulteriore ripartizione degli uffici metropolitani, da realizzarsi su base territoriale attraverso la creazione di più circondari all’interno della metropoli da collegare alla competenza di più tribunali affiancati dalle rispettive procure della Repubblica; in alternativa veniva proposta una ripartizione dei mega uffici su base funzionale, addivenendosi alla creazione di diversi uffici giudiziari di primo grado, individuati sulla base della specialità delle materie trattate: e così un tribunale civile, uno commerciale, uno penale ordinario e uno penale speciale.
Nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia del 1996 il C.S.M. era tornato nuovamente sul tema sottolineando come l’efficienza del sistema giustizia presupponesse una razionale distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari e un corretto dimensionamento dei loro organici, non potendosi trarre giovamento, di per sé, dal mero aumento dell’organico dei magistrati. Nell’occasione venivano valorizzate le conclusioni raggiunte dal gruppo di studio per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie istituito con D.M. 3.1.1994 e veniva sollecitato un intervento riformatore che si muovesse sulla base delle seguenti linee conduttrici:
“1) aggregare i circondari esistenti sulla base delle affinità ed omogeneità della domanda di giustizia (ad es. livello di densità della popolazione o dei procedimenti penali);
2)    aggregare i circondari tenendo conto del riequilibrio del sistema di offerta di giustizia (magistrati, strutture, ecc.) nonché di altri elementi fondamentali, quali i livelli di prestazione del sistema (flussi e carichi di lavoro, popolazione per magistrato), l’accessibilità alle sedi giudiziarie sul territorio, le dimensioni delle aree urbane e la presenza di particolari fenomeni di criminalità organizzata in alcune province;
3)    aggregare i circondari in base al vincolo geografico, prendendo in considerazione solo gli accorpamenti di circondari appartenenti ad una medesima  provincia, al fine di garantire l’accessibilità degli utenti al servizio giustizia sul territorio”.
Chiamato ad esprimere il proprio parere sullo schema di decreto legislativo concernente “Istituzione delle sezioni distaccate di tribunale e dei tribunali delle aree metropolitane”, il C.S.M., nel 1998, dopo avere rappresentato nuovamente la necessità di un intervento radicale e complessivo di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, da un lato si soffermava sulla necessità di accorpare quei tribunali le cui dimensioni non consentivano di assicurare un efficiente funzionamento del servizio e da un altro lato esprimeva apprezzamento per il riconoscimento della necessità di decongestionare uffici di troppo grandi dimensioni, sia pure affermando che l’obbiettivo non poteva essere raggiunto esclusivamente attraverso l’istituzione nei relativi circondari di nuovi tribunali in sostituzione delle preesistenti sezioni distaccate. Nella stessa direzione ci si muoveva nei pareri sui disegni di legge delega per la revisione dei circondari di Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo, affermandosi che gli interventi per decongestionare il sistema giustizia gravitante sulle suddette aree metropolitane dovesse essere diversificato sulla base delle specificità locali.
Il C.S.M. aveva modo poi di valutare, in relazione allo specifico settore della giustizia, le conclusioni alle quali era pervenuta nel 2007 la commissione tecnica per la finanza pubblica, appositamente incaricata dal ministro dell’economia e delle finanze di elaborare uno studio complessivo delle dinamiche della spesa pubblica individuando i principali tentativi per governarla. E al riguardo appare significativo evidenziare che anche i tecnici allora incaricati individuavano nella revisione delle circoscrizioni giudiziarie una problematica che veniva a incidere, non solo sulla spesa pubblica, ma sulla complessiva efficienza del sistema giudiziario, presupponendo questa un razionale impiego e distribuzione sul territorio delle risorse umane e materiali. Le conclusioni alle quali perveniva lo studio si soffermavano ancora una volta sul modello ottimale di ufficio giudiziario individuandosi nella dimensione troppo limitata della maggior parte degli uffici giudiziari un fondamentale fattore di inefficienza dell’offerta di giustizia in Italia; in questa direzione veniva individuata nell’organizzazione giudiziaria l’esistenza di economie di scala non adeguatamente sfruttate: ci si voleva, al riguardo, riferire all’accertata possibilità di fare aumentare la produttività di ogni singolo magistrato inserendolo in un contesto organizzativo di più rilevanti dimensioni, consentendo così allo stesso, oltre che di giovarsi di una migliore gestione del personale e delle attrezzature, di assicurare una risposta più produttiva alla crescente domanda di giustizia avvalendosi delle cosiddette economie di specializzazione. Nello stesso tempo veniva registrata una perdita di efficienza quando il magistrato era chiamato a operare in uffici di troppo elevate dimensioni (individuate in una misura  superiore ad ottanta unità), sia pure in termini estremamente più ridotti rispetto a ciò che si era accertato in relazione agli uffici di più ridotte dimensioni.
Del resto l’assoluta necessità di procedere a una revisione delle circoscrizioni giudiziarie al fine di realizzare un sistema moderno ed efficiente di amministrazione della giustizia era stata espressamente riconosciuta dallo stesso legislatore laddove, nelle relazione accompagnatoria al disegno di legge delega sull’istituzione del giudice unico di primo grado si affermava: “un primo, importante passo verso la razionalizzazione delle geografia giudiziaria, da attuare nel prossimo futuro, attraverso un più ponderoso intervento delle circoscrizioni giudiziarie. In questa prospettiva, la costituzione del giudice unico si imbatte in difficoltà minori, anche a livello locale, e può comunque rappresentare un utile momento di verifica delle esigenze e delle difficoltà che si porranno sul piano concreto indirizzando così, proficuamente, il successivo intervento normativo”.
L’esame degli atti finora indicati, unito a ulteriori interventi paranormativi nelle materie riservate all’autogoverno della magistratura, induceva il C.S.M. ad insistere ulteriormente nella citata risoluzione del 2010 sulla impellente necessità di sopprimere tutti quegli uffici con organici troppo limitati ed inidonei ad assicurare una tempestiva risposta di qualità alla sempre crescente domanda di giustizia. Ed in ciò si considerava determinante il fattore della specializzazione dei magistrati in direzione del quale si muovevano le circolari emanate in attuazione del nuovo ordinamento giudiziario, prevedendosi che, per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, con riferimento alle attitudini, mentre all’inizio della carriera va privilegiata la pluralità di esperienze idonee a contribuire alla formazione di un variegato patrimonio professionale, viceversa nel prosieguo dell’attività professionale merita di essere valorizzata la maggiore specializzazione conseguita dal magistrato in relazione alla conoscenza specifica delle problematiche specifiche del settore o dell’ufficio che chiede di dirigere.
Nella stessa direzione si erano mosse le circolari sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari che si sono succedute nel tempo; in particolare quella attualmente vigente relativa al triennio 2012 – 2014 al paragrafo n. 21 prevede che:
21.1 – nell’organizzazione degli uffici va favorito, oltre al naturale riparto tra il settore civile e quello penale, l’affinamento di competenze specialistiche per materie omogenee e predeterminate, anche all’interno delle singole sezioni. Tali competenze specialistiche sono funzionali alla corretta applicazione della disciplina prevista dall’art.19 del decreto legislativo n. 160 del 2006 e al relativo Regolamento del CSM 13 marzo 2008 in materia di permanenza massima nel medesimo incarico. La coassegnazione a norma del par. 18.3 non rileva ai fini della permanenza massima nella medesima posizione tabellare;
 
21.2 – per il perseguimento dei fini indicati al par. 21.1, la costituzione di sezioni specializzate risulta essere il modello organizzativo più adeguato per garantire più qualificate professionalità, tale da rendere più efficace e celere la risposta all’istanza di giurisdizione;
21.3 – i Tribunali organizzati in più sezioni civili e/o in più sezioni penali devono prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base ad aree omogenee, secondo le indicazioni della circolare;
21.4 – per i Tribunali nei quali il numero di sezioni presenti per ciascun settore non consente l’accorpamento in base ad aree omogenee deve essere comunque attuata la specializzazione per gruppi di materie.

E con riferimento ai tribunali di più ridotte dimensioni, nei quali sia comunque possibile l’istituzione di una sezione civile e una sezione penale, oltre a una separata sezione GIP/GUP, si prevede che venga attuata una specializzazione dei ruoli all’interno delle singole sezioni.
E infine veniva evidenziato come tali moduli organizzativi volti a favorire una specializzazione dei magistrati nella trattazione degli affari loro assegnati con conseguente aumento della loro produttività in linea con la crescente domanda di giustizia e con la impellente necessità di abbattere l’arretrato fossero del tutto incompatibili con l’attuale geografia giudiziaria caratterizzata da una capillare diffusione sul territorio di uffici giudiziari con organici ridotti. E in particolare l’esame della pianta organica degli uffici di primo grado faceva emergere che ben 88 tribunali presentano un organico inferiore alle venti unità, 59 tribunali hanno un organico compreso fra le venti e le cinquanta unità e solo 18 tribunali hanno un organico superiore alle cinquanta unità; un’organizzazione del sistema giudiziario ben lontana da quel modello dimensionale ideale che, salvi gli opportuni correttivi, individuava in un numero variabile da venti a quaranta unità la pianta organica del personale di magistratura idoneo ad assicurare efficienza ed economie di specializzazione. Difatti un tale dimensionamento degli uffici giudiziari di primo grado risultava sufficiente a garantire in ogni tribunale un’articolazione in distinte sezioni, civili e penali, l’esistenza di un’autonoma sezione GIP/GUP nonché di una sezione competente in materia di esecuzioni forzate e fallimenti.
Il gruppo di studio ha ritenuto opportuno rifarsi, nei termini che precedono, alla sopra riportata elaborazione consiliare in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ritenendo in particolare che, nell’attuazione della delega di cui alla legge n. 148 del 2001, il Governo possa validamente utilizzare quel concetto di dimensione ideale di ufficio giudiziario sulla base del quale ridisegnare la geografia giudiziaria del Paese, così come sopra sintetizzato, idoneo ad assicurare un recupero di efficienza ed il raggiungimento delle cosiddette economie di specializzazione.
 
I minima standard di distribuzione territoriale degli uffici implicati dalla legge di delegazione .

La distribuzione territoriale degli uffici giudiziari è materia di rilevanza costituzionale, da ciò conseguendo vincoli diretti già per il delegante e – con diretta progressione – per il legislatore delegato, tenuto anzitutto a un’interpretazione rigorosa oltre che costituzionalmente orientata dei “principi e criteri direttivi”.
La rilevanza deriva non soltanto dalla circostanza per cui ogni nuova distribuzione di uffici modifica inevitabilmente la competenza dei giudici interessati (il che pone, immediatamente, il problema degli affari in corso, rispetto ai quali già la precostituzione può farsi dubbia anche se “la giurisprudenza costituzionale […] non reputa necessariamente in contrasto con l’art. 25, primo comma, Cost. gli interventi legislativi modificativi della competenza aventi incidenza anche sui processi in corso”), ma anche dalla circostanza che la Costituzione espressamente impone, di là di quanto implicitamente viene dalla superiore garanzia di incondizionata accessibilità della giustizia, che le unità giudiziarie abbiano sempre un carattere “naturale”.
Vero è, come ancora attesta la sentenza n. 237 del 2007 della Corte costituzionale, che “la nozione di giudice naturale […] corrisponde a quella di giudice precostituito per legge”, ma è anche vero che autorevolissime voci della dottrina hanno sapientemente sciolto la nota endiadi e attribuito autonomia, rispetto al dato della precostituzione, al distinto valore costituzionale della naturalezza del giudice, e proprio sotto il profilo della necessaria e razionale frammentazione e collocazione sul territorio degli uffici (con argomenti oggi senz’altro corroborati dall’art. 116, 3° comma, della Costituzione, che direttamente correla a un determinato territorio la “giustizia di pace”), giungendo a ipotizzare fattispecie di giudice precostituito e però innaturale come limite logico a qualsivoglia operazione interpretativa intesa all’identificazione e riduzione a unità semantica dei due concetti.
In questa prospettiva di assicurazione anche del valore di razionale diffusione geografica dell’ accesso alle sedi di giustizia dev’essere, allora, interpretata la legge di delegazione: legge dalla quale emerge un ultimo e originario principio di intangibilità del tribunale di primo grado (e del corrispondente ufficio di procura) per ogni capoluogo di provincia (lett. a, c). Trattasi, al riguardo, di un criterio di geografia politica, che si presenta generale e stabile, i.e. nazionale.
 
Non uguale valenza di criterio primario può prendere, nel contesto della legge, invece, la pur cogente previsione del mantenimento “di tre degli attuali tribunali” per ciascun distretto, siccome criterio, quest’ultimo, destinato a operare soltanto “all’esito degli interventi di riorganizzazione” (lett. f) e in dichiarata funzione di contenimento della “riduzione degli uffici giudiziari”. Trattasi, dunque, di parametro giudiziario di modulazione territorialmente differenziata, i.e. distrettuale.
E’ per questo che dall’invariabile principio di intangibilità del tribunale di primo grado per ogni capoluogo di provincia sono stati desunti i principali corollari operativi (conoscibili dal delegante e dunque presuntivamente rientranti nello spettro della intentio legis), così da poter integrare quei “criteri oggettivi e omogenei” prescritti nei confronti del Governo al fine di “ridurre gli uffici giudiziari di primo grado”: l’oggettività, in tale guisa, scaturisce dal carattere di necessaria implicazione di ognuno dei criteri usati nel principio-cardine assunto dalla legge, l’omogeneità dalla circostanza che tutti i criteri derivano logicamente da un unico principio, appunto quello di intangibilità divisato dalla legge.
Così, soltanto in funzione di contenimento specifico dell’applicazione di tali criteri (quelli, cioè, elaborati sulla base dei dati relativi ai tribunali aventi sede in comuni capoluoghi di provincia) è destinato a operare il criterio secondario.
In breve, i criteri “oggettivi e omogenei” sono endogeni, cioè risalenti alla delega stessa siccome implicati dalla scelta legislativa di alcuni uffici come “intangibili”, potendosi definire in questo modo sia gli uffici intangibili ex ante (i tribunali con sede in comuni capoluoghi di provincia) sia quelli intangibili ex post (tre degli attuali tribunali per ciascun distretto, dunque anche non aventi sedi in capoluogo).
Sotto il profilo metodologico, pertanto, ogni valore di riferimento (valore semplice o di sintesi qui non rileva) può essere convenientemente derivato dalla media-mediana (o media aritmetica diversamente corretta) di un valore proprio di tribunali nominati in quanto aventi sede nei comuni capoluoghi, e può riuscire applicabile, per ciascun distretto, finché compatibile col corrispondente valore dell’ufficio collocabile al terzo posto di uno speciale ranking redatto su base distrettuale giusta il medesimo valore di riferimento.
 

Sistema di scelta dei dati giudiziari e non giudiziari, e loro modalità di trattamento: criticità della raccolta, attendibilità e aggiornamento dei dati. Universalità, astrattezza e oggettività dei criteri selezionati dal gruppo di studio.   Residuale funzione correttiva degli ulteriori elementi valutativi della legge di delegazione.

I dati emergenti dai tribunali aventi sede in città capoluogo (n. 103) sono stati preventivamente depurati di quelli inerenti agli uffici delle “grandi aree metropolitane”, cioè Roma, Napoli, Milano, Torino e Palermo (n. 5). In questo modo, di là della separata considerazione che del tema fa la legge di delegazione, si è ritenuto di affrancare il calcolo dei valori medi da fattori perturbativi che siffatti uffici avrebbero indotto poiché lo standard applicabile agli altri ne avrebbe risentito in termini di in-naturalezza. Così operando, è stato possibile – data la maggiore omogeneità degli uffici preselezionati per differenza da quelli delle grandi aree metropolitane – evitare di ricorrere alla tecnica della media-mediana, e si è potuto confidare sulla semplice media aritmetica.
In sintesi, si è passati da un possibile fattore di correzione ex post del valore di riferimento (quello della media-mediana che si ottiene mediando i due valori immediatamente prossimi, rispettivamente in aumento e in diminuzione, rispetto alla precalcolata media aritmetica semplice), a un fattore di correzione ex ante, pre-selezionando cioè, in base al criterio legislativo che postula un peculiare trattamento degli uffici delle grandi aree metropolitane, il genere di uffici dai quali attingere i dati massimamente omogenei, questi eleggendo nei tribunali di tutte le città capoluogo diverse da Roma, Napoli, Torino, Milano e Palermo.
In base alla legge i principali dati da elaborare per giungere al corrispondente valore-modello sono stati scelti tra quelli con caratteristiche di pubblicità, incontrovertibilità e pre-elaborazione (cioè non oggetto di trattamento ad hoc), evitando già in prima battuta l’impiego di quelli suscettibili di ulteriore correzione mediante elementi valutativi (quali “situazione infrastrutturale” o “tasso d’impatto della criminalità organizzata”), ed essenzialmente, dunque, nel “numero degli abitanti” e “sopravvenienze”, per un verso (si potrebbe definire il loro rapporto come indice di litigiosità), “carichi di lavoro” rispetto all’ organico virtualmente (e non effettivamente) disponibile, per altro verso (si potrebbe definire quest’ultimo rapporto come indice di produttività).
Quando possibile, è stata naturalmente privilegiata la fonte Istat, anche se per la popolazione residente l’ultimo dato certificato è risalente al censimento del 2001; tuttavia, sono stati acquisiti i dati anagrafici aggiornati i quali, senza valore di certificazione, non attestano trend comparativamente disomogenei tra i diversi circondari interessati, confermando una linea di tendenziale aumento dei residenti ma in termini tali da non alterare alcuno dei risultati conseguiti mediante  l’elaborazione dei dati ufficiali (e però più remoti), in attesa della disponibilità degli esiti del censimento in corso.
Per i dati di estrazione giudiziaria e fermo l’uso della dotazione organica normativamente assegnata all’ufficio e non già di quella realmente presente, è stata privilegiata la raccolta di quelli caratterizzati da generalità, e così il totale dei procedimenti iscritti e di quelli definiti in un determinato periodo di tempo per il settore civile (anche con provvedimenti non aventi forma di sentenza), e il totale dei procedimenti iscritti e definiti nel corrispondente periodo in riferimento al registro “Noti” per il settore penale (escluse le definizioni inerenti alla fase delle indagini preliminari).
Il periodo considerato è stato assunto convenzionalmente in almeno un quinquennio, tale per cui – si è convenuto – fattori accidentali e idonei ad alterare nel breve periodo la formazione dei dati in un circondario possono reputarsi neutralizzabili nel medio. Pertanto, l’intervallo considerato è stabilmente quello degli anni 2006-2010, peraltro previa conferma dell’intangibilità delle singole linee di tendenza anche per l’anno 2011, almeno dove la disponibilità del dato sia risultata già acquisita. Quindi, ne è stato tratto un valore medio finale su base annua.
L’obiettivo della raccolta è stato, in definitiva, quello di stimare in ultimo il valore-standard dell’ufficio intangibile, proiettandolo sopra i valori corrispondenti dei 57 uffici astrattamente sopprimibili onde verificarne la collocazione rispetto allo standard elaborato e che tuttavia riflette necessariamente, in base agli argomenti svolti, la fondamentale prescrizione del delegante.
La legge, che in astratto consente la riduzione di 57 tribunali non aventi sede in città capoluogo (il che ha comunque imposto la selezione di dati e l’elaborazione di criteri a vocazione universale, cioè idonei a confortare anche la scelta di abolire tutti gli uffici non intangibili ex lege senza viceversa escluderne preventivamente alcuno), postulando una scelta all’interno di tale novero, non avrebbe potuto non contemplare quale ipotetica discriminante il valore mediamente emergente dall’ambito degli uffici viceversa preservati dalla riduzione (valore invero accessibile al delegante e logicamente rientrante nello spettro della sua consapevole determinazione deliberativa).

Evidenze e statistiche di produttività: il dato relativo alle pendenze, rilevante ma non decisivo.
 
Gli indicatori di riferimento, all’esito del trattamento dei dati raccolti coi criteri adottati, producono un ufficio giudiziario di primo grado sito in capoluogo provinciale come caratterizzato, oltre che da altri tratti che ampiamente ne confermano l’omogeneità sostanziale alla media degli uffici circondariali anche non provinciali e in assoluto -perciò- la qualità campionaria (per esempio, un significativo rapporto di 3,4 unità di personale amministrativo per ciascun magistrato, praticamente equivalente alla media nazionale calcolando questo su tutti gli uffici circondariali), particolarmente da:
– popolazione media di 363.769 abitanti (la media nazionale è 345.606)
– sopravvenienze totali medie di 18.094 procedimenti (la media nazionale è 18.623)
– organico di magistratura pari a 28 unità (la media nazionale è 31)
– carico di lavoro annuo pari a 638,4 o 647,1 (la dualità è legata all’uso possibile del numero di procedimenti sopravvenuti ovvero di quelli definiti al fine di desumere la “produttività”, che per la media nazionale è rispettivamente: 600,6 – 606,9).
La selezione dei tribunali sopprimibili può, a questo punto, ragionevolmente procedere per passi successivi, che considerino – ciascuno – la voce “abitanti”, “sopravvenienze”, “organico” e “produttività” rispetto al campione sintetizzato: la funzione di filtro di ogni criterio è poi considerata già tale da immunizzare l’ufficio che resiste in base al criterio precedente da ogni esito eventualmente negativo del trattamento in base a quello successivo.
Si è pregiudizialmente esclusa, invece, la considerazione della c.d. “pendenza” poiché questa appare non soltanto deviante ove se ne assuma la risultanza in dimensione prospettica (rispetto alla quale ben maggiore significato ha una consolidata e attuale tendenza della domanda di giustizia), ma anche perché legata a fattori locali e accidentali, storici e finanche talora puntuali ovvero esauriti nel tempo, che ne impediscono ogni decisivo impiego nell’operazione di riorganizzazione, tanto più che per ragioni intuitive l’operazione stessa viene condotta in base a unità di magistratura non effettivamente presenti seppur virtualmente appartenenti alla pianta organica dell’ufficio: sarebbe allora ulteriormente perturbato il risultato che considerasse un organico virtuale e una pendenza, invece, reale.
Dunque, il dato della pendenza è destinato ad assumere una rilevanza soltanto indiretta in quanto incidente sul numero dei procedimenti definiti e, in ultimo, sulla produttività dell’ufficio.

Abitanti, sopravvenienze, organico.
 
Per numero di abitanti, i circondari afferenti a città diverse dai capoluoghi sono sopprimibili per 56/57 poiché soltanto il tribunale di Busto Arsizio serve una popolazione maggiore di 363.769.
Per sopravvenienze totali, i circondari afferenti a città diverse dai capoluoghi sono sopprimibili per i rimanenti 51/56 poiché soltanto i tribunali di Santa Maria C.V., Torre Annunziata, Velletri, Nola e Tivoli superano la media di 18.094 procedimenti.
Per organico, i circondari afferenti a città diverse dai capoluoghi sono sopprimibili per gli ulteriori 50/51 poiché soltanto il tribunale di Palmi ne ha uno maggiore di 28 unità di magistratura.
Per produttività (che è il primo e unico dato relativo e non assoluto poiché si esprime attraverso un rapporto e non una dimensione quantitativa, e che di qui in avanti viene stipulativamente riferito al rapporto tra il n. di procedimenti definiti e il n. di magistrati in pianta organica), data la media di 638,4 (totale dei definiti/ totale dei magistrati) di ciascuno dei tribunali provinciali (non metropolitani), si è fatta previamente la seguente constatazione statistica (quale forma di convalida all’attualità degli studi e risoluzioni in primo luogo del CSM): che tale dato è comune alla classe dei tribunali provinciali che hanno organico compreso tra 21 e 30 magistrati: classe alla quale appartiene la sopra considerata misura di 28 unità e che esprime tendenzialmente il miglior valore di produttività, pari a 662. Si tratta di un valore superiore alla media complessiva di 638,4, ma anche superiore ai valori (praticamente identici) di ciascuna delle classi di uffici immediatamente precedente (organico >11-20) e immediatamente successiva (organico >31-60), quindi inferiore soltanto a quello della ulteriore classe – non statisticamente rappresentativa né perciò significativa quale campione – dei tribunali con pianta organica compresa tra 61 e 100 unità di magistrati, che è la soglia numerica passata la quale la produttività segna un vertiginoso crollo (da 681 a 435).
Perciò, attenendosi alla tecnica del minimo mezzo per realizzare l’obiettivo dell’efficiente allocazione delle risorse giudiziarie senza diminuirne oltre misura la naturale frammentazione territoriale, sembra funzionale escludere la necessità di permanenza degli uffici che contano meno di 20 unità di organico, ma non anche di quelli con organico superiore ancorché minore di 28.
Conseguentemente, dei 50 uffici (aventi sede fuori dei capoluoghi provinciali e) non già schermati dall’applicazione di alcuno dei valori precedenti – in quanto tali destinati, cioè, a ipotetica soppressione – possono immunizzarsi altri cinque, che contano un organico (sì inferiore a n. 28, e però) di 20 magistrati e oltre, tale da consentire in via di principio lo stesso standard di produttività assicurato dal maggiore organico di riferimento (pari a 28). Ne sortisce la possibile individuazione ulteriore dei tribunali di Nocera inferiore, Locri, Marsala, Termini imerese e Civitavecchia, quest’ultimo con dotazione organica pari proprio al valore-limite di 20, sebbene debba essere chiarito subito come quest’ultima selezione non implichi pure che il coefficiente di produttività mediamente stimato per la classe di appartenenza di tali uffici (organico >21-30) sia concretamente attinto (tutti questi cinque uffici, infatti, hanno indici assolutamente inferiori alla media di classe e alla media nazionale, con valori compresi tra 370,5 e 531,3, e tuttavia appare coerente alla linea che si è data il gruppo di obliterare, in questa fase, tali dati specifici. Di questi fa parte e tuttavia può essere significativo anche un altro: che nel medesimo distretto di appartenenza del citato tribunale con organico pari a 20 unità (distretto di Roma), anche il tribunale con organico immediatamente inferiore, pari a 19 unità, cioè quello di Cassino, non attinge comunque il valore di produttività medio della classe superiore alla quale appartengono gli uffici che si stanno considerando qui).
In definitiva, sono 45 i tribunali non provinciali che si collocano al di sotto del modello di ufficio intangibile secondo la legge delega; di questi, 8 risultano intangibili siccome lo standard dev’ essere per alcuni distretti derogato (stilando un apposito ranking dei rispettivi circondari, replicando nel più ridotto contesto territoriale, cioè, l’elaborazione fatta su scala nazionale) per consentire il mantenimento di almeno tre degli “attuali tribunali” (Gela, Larino, Barcellona P.d.G., Patti, Spoleto, Melfi, Vallo d.L. e Rovereto), così che residuano almeno 37 uffici giudiziari di primo grado aventi sede fuori dei capoluoghi provinciali e in relazione ai quali è senz’altro stimabile in base a criteri oggettivi e omogenei l’operazione di riduzione e ridefinizione dell’assetto territoriale, fatto salvo l’impiego degli ulteriori elementi valutativi pregiudizialmente alienati dai mezzi impiegati dal gruppo di studio.
 

Raffronto tra le proiezioni applicative dei criteri: in particolare, indice di litigiosità vs sopravvenienza.

Il tema delle sezioni distaccate, in disparte l’opzione massimalista del cui valore non mette ulteriormente conto occuparsi e le cui ragioni sono compiutamente illustrate altrove nella presente relazione, si presenta favorevole a un coerente sviluppo del lavoro inerente all’ufficio di dimensione circondariale, più che a una pedissequa reiterazione applicativa del metodo che sin qui è stato seguito. Ma occorrono, in proposito, alcune premesse argomentative nuove.
Le lett. a) e f) della delega non garantiscono la permanenza anche delle sezioni distaccate degli “attuali tribunali” pur qualificati intangibili: la “soppressione” delle sezioni distaccate è, dunque, operazione diversa e ulteriore nel programma di “ridurre gli uffici giudiziari” (dove ufficio giudiziario è sintagma che, nel contesto legislativo, lo si accennava in incipit della presente relazione, con evidenza viene riferito anche alle sezioni distaccate).
 
Alle sezioni distaccate non sembra applicabile il modulo operativo della mera “ridefinizione” territoriale (lett. b) poiché il loro eventuale “accorpamento ai tribunali limitrofi” [che è la formula della lett. d) riproduttiva della più generale possibilità di “attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi” di cui dice già la lett. b)] è dato soltanto in funzione della “riduzione” delle sezioni stesse. Ciò vuol dire che nessuna sezione distaccata può, in linea di principio, rimanere in vita venendo senz’altro attratta ad altro circondario, se non nell’ambito di una operazione complessivamente riduttiva del numero delle sezioni distaccate che coinvolga i circondari interessati.
D’altro canto, la “soppressione” delle sezioni distaccate che è recata – quale logica sequela – dalla soppressione dei tribunali aventi sedi in città non capoluogo sostanzia soltanto una prima e diversa parte dell’iter di attuazione della delega di cui alla lett. d).
Perciò, date queste premesse, l’ulteriore “riduzione” delle sezioni distaccate può avvenire anche nell’ambito dei tribunali intangibili ex lege e di quelli comunque lasciati intatti dal delegato.
Infatti, nella ricerca di un criterio da adottare, e che logicamente risalga dalla legge di delegazione stessa, è conveniente assumere che il legislatore delegante, nel prevedere la sopprimibilità dei 57 circondari non afferenti a capoluogo di provincia, non abbia potuto non prevedere già quella delle inerenti sezioni distaccate. E così, non abbia potuto non ammettere la sopprimibilità di sezioni pur quando afferenti agli altri tribunali intangibili stante che in tema di sezioni distaccate la “riduzione” sembra conoscere la sola alternativa della “soppressione” tout court. Cioè: non esiste alcun principio di mantenimento e ultrattività di sezioni, come invece vige per (la sede centrale de)i tribunali provinciali.
Dunque, ferma la già praticata separazione delle “grandi aree metropolitane” (almeno ai fini della raccolta dei dati), sarebbe stato ipotizzabile quale criterio discriminante per la riduzione delle sezioni già uno tra questi due, in coerenza col lavoro svolto sin qui e ritenuta la indisponibilità di dati attendibili quali l’“organico” della singola sezione distaccata:
a)    valore-soglia (di abitanti e sopravvenienze) uguale alla superiore sezione distaccata di uno dei 57 circondari non intangibili ex lege;
b)    valore-soglia (di abitanti e sopravvenienze) uguale alla media delle sezioni distaccate dei (rimanenti) tribunali intangibili ex lege.
In definitiva, per i tribunali non appartenenti alle grandi aree metropolitane (per cui l’esigenza peculiare di “razionalizzare” è tale da superare e assorbire anche  la vicenda delle sezioni distaccate), l’operazione di riduzione delle sezioni distaccate avrebbe potuto essere svolta attraverso la soppressione di tutte le sezioni classificabili in posizione inferiore allo standard costituito dal valore massimo di quelle inerenti ai 57 tribunali sopprimibili (ex lege) ovvero dal valore medio di quelle inerenti ai rimanenti tribunali intangibili (ex lege) .
Tuttavia, l’enorme forbice dei risultati ai quali conducono i due criteri, appena illustrati e pur equipollenti sul piano logico, ha persuaso dell’opportunità di un diverso percorso, depurato di ogni elemento di relazione, ritenuto di malsicuro significato quando applicato con riferimento alla realtà giudiziaria della sezione distaccata (per esempio: l’indice di litigiosità, quale sintesi del rapporto tra il dato degli abitanti e quello delle sopravvenienze, si è preferito sciogliere in due unità elementari, ciascuna considerata in termini assoluti, infine comparando le 220 sezioni distaccate ora soltanto per numero di abitanti ora soltanto per sopravvenienze).
Considerata la popolazione residente nei comuni di afferenza di ciascuna delle 220 sezioni distaccate, allora, ne è stato tratto un bacino di utenza medio (e in questa prospettiva è venuta meno l’esigenza della preventiva esclusione dei dati delle sezioni pertinenti ai tribunali delle grandi aree metropolitane); considerate, poi, le sopravvenienze del quinquennio 2006-2010 di ciascuna delle 220 sezioni distaccate ne è stata parimenti tratta la relativa media nazionale.
Soltanto a questo punto si è proceduto a combinazione dei due dati e, per conseguenza, sono stati ritenute intangibili le sole sezioni distaccate collocabili sopra entrambi i valori-soglia così enucleati.
Dunque, collocandosi 83/220 degli uffici considerati sopra il primo valore (abitanti: 85.490,6) e 82/220 sopra il secondo valore (sopravvenienze: 2269), si è data anzitutto prova – attraverso la virtuale coincidenza aritmetica di questi risultati – della maggiore adeguatezza di tali, preferibili indicatori. Ma poiché rimane la sintesi dei due valori soglia – tuttavia – quella in grado di esprimere la massima adeguatezza dell’operazione, è stato selezionato il minimo comune denominatore composto dagli uffici che si collocano sopra entrambi i valori e che risultano soltanto in numero di 60/83 (si tratta, in ultimo, delle sedi comuni a entrambe le graduatorie stilate per abitanti e sopravvenienze).
Tanto lascia conseguire per differenza la serie (di n. 160) sezioni distaccate in astratto sopprimibili.
Residuano, insomma, almeno 160 sezioni distaccate di tribunale, inclusi gli uffici di grandi aree metropolitane, che in base a criteri oggettivi e omogenei appaiono suscettibili di riduzione, fatto salvo l’impiego degli ulteriori elementi valutativi pregiudizialmente alienati dai mezzi impiegati dal gruppo di studio.
 

Gli esiti dell’elaborazione con particolare riguardo ai tribunali e alle sezioni distaccate: la naturale estraneità al mandato del gruppo di studio delle verifiche di attuabilità delle soluzioni conseguenti all’opzione eventualmente soppressiva del singolo ufficio giudiziario.

La rappresentazione conclusiva degli uffici giudiziari – 37 tribunali e 160 sezioni distaccate – sopra i quali gli interventi appaiono possibili avrebbe qui legittimamente potuto concludersi con l’elenco nominativo delle sedi esposte a ridefinizione o riduzione senz’altro. E tuttavia il gruppo ritiene, pur consapevole della deficitaria utilità della presente relazione in parte qua, di non procedere in tal senso, in omaggio alla rigorosa linea-guida osservata, e cioè quella imposta da un metodo di lavoro stabilmente avulso da ogni considerazione indotta da questa o quella realtà (meglio: dal precipitato particolare del criterio generale), e unicamente inteso a offrire al Ministro della Giustizia gli elementi che, con rigida osservanza della delegazione legislativa e delle tecniche scientifiche e statistiche che sovrintendono alla elaborazione dei dati necessari, possono portare alla preliminare delineazione della (se è lecito dir così) sezione operatoria, lasciando quindi all’Autorità politica e agli Uffici del Ministero capaci di fare razionale ed effettivo apprezzamento dei dati delle realtà locali e della sopportabilità delle diverse soluzioni logistiche implicate dalle scelte che la legge autorizza; scelte che, soltanto in guisa d’esempio, si intende far comprendere quale rilevanza possano prendere ove dei criteri elaborati dal Gruppo di studio venisse fatta fedele e integrale applicazione. E l’esempio intende limitarsi all’operazione soppressiva delle sole sezioni distaccate siccome certamente meno critica sul versante politico-giudiziario; eppure si determinerebbe già suo tramite il recupero di 1222 unità di personale amministrativo e di 817 unità di personale NEP. Sono dati che, fuori delle criticità che suscitano le prospettive riguardanti il personale di magistratura (un censimento esatto del quale, omologo di quello appena riferito, è allo stato non attendibilmente proponibile per il deficit di stabile dotazione organica che connota la sezione, riconoscibile con autonomia esclusivamente sotto il profilo della tabella organizzativa) e in generale gli assetti socio-politici delle comunità territoriali interessate al presidio giudiziario, bastano a qualificare enorme la rilevanza delle scelte rimesse al Ministro della Giustizia e al Governo.
 

La soppressione dell’istituto “sede distaccata”, in quanto unità organizzativa incompatibile con l’organizzazione tabellare degli uffici giudiziari e residuato della passata articolazione degli uffici giudiziari di primo grado nelle Preture e nei Tribunali. La creazione di nuovi uffici giudiziari in seguito  all’accorpamento dei territori facenti capo alle sedi distaccate soppresse e ciò in particolare perseguendo la finalità di decongestionare gli uffici troppo grandi.

Pur ritenendo che l’indicazione della soppressione delle sezioni distaccate quale metodo generale dell’organizzazione giudiziaria sia estraneo al mandato del gruppo di studio, e alla logica implementativa stessa della legge delega, salvo il risultato operativo possa coincidere con quello implicato da quest’ultima, si ritiene che la rilevanza del profilo meriti comunque un qualche approfondimento se si vuole collaterale.
Va al riguardo premesso che attualmente le sezioni distaccate di tribunale sono regolamentate nella sezione 1 bis del R.D. 30.1.1941, n. 12 (artt. 48 bis, 48 ter, 48 quater, 48 quinquies, 48 sexies), introdotta dall’art. 15 del decreto legislativo 19.2.1998, n. 51, recante norme in materia di istituzione di giudice unico di tribunale. Segnatamente la tabella B allegata al decreto contiene l’elenco delle sezioni distaccate allora istituite con l’indicazione della circoscrizione prevista per ognuna di esse; è disciplinata la procedura per l’istituzione, la soppressione e la modifica delle circoscrizioni delle sezioni distaccate che si conclude con l’emanazione di un apposito decreto del ministro della giustizia, di concerto con il ministro del tesoro e sentito il C.S.M.; è stabilito che il suddetto decreto venga adottato sulla base di criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto dell’estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei sistemi di mobilità, dell’indice di contenzioso in materia civile e penale degli ultimi due anni nonché della complessità e dell’articolazione delle attività economiche e sociali che si svolgono nel territorio. Sono state poi introdotte delle significative limitazioni all’attività giurisdizionale destinata a svolgersi nella sede distaccata: in questo senso sono trattati solo gli affari civili e penali sui quali il tribunale è chiamato a giudicare in composizione monocratica, con esclusione, quindi, di tutta l’attività collegiale, nonché delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie e delle funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice per l’udienza preliminare. Ed ancora il presidente del tribunale ha facoltà di stabilire quali udienze, relative a procedimenti civili o penali, anche in relazione a gruppi omogenei di procedimenti, debbano essere trattate nella sede principale o in quella distaccata. Ed infine l’assegnazione dei magistrati alle sedi distaccate avviene sulla base di criteri determinati con la procedura tabellare prevista dall’art. 7 bis R.D. 12/1941. Quest’ultima previsione comporta che, nel determinare gli interventi di soppressione ed accorpamento delle sedi distaccate, non può tenersi conto in maniera assoluta del dato relativo alla pianta organica degli uffici destinati alla soppressione. Difatti può dirsi che non esista un vero e proprio organico di personale giudiziario destinato alla sezione distaccata, essendo l’assegnazione del  magistrato al suddetto ufficio giudiziario il risultato della procedura tabellare che viene applicata per la distribuzione degli affari fra i magistrati all’interno dello stesso ufficio giudiziario, piuttosto che la conseguenza di una procedura di tramutamento volontario, o eccezionalmente di ufficio, destinata a concludersi, per attribuzione costituzionale, con delibera del C.S.M. Ciò comporta, lo si è già accennato, che il numero dei magistrati assegnati alle sezioni distaccate sia soggetto a una serie di variabili diverse ed autonome rispetto a quelle che presidiano alla formazione della pianta organica dei tribunali e che non si prestano ad essere sottoposte a un facile monitoraggio da parte di questo gruppo. La considerazione ora svolta appare però utile al fine di evidenziare, come nel seguito si dirà, le criticità che, istituzionalmente, presenta il modulo organizzativo “sezione distaccata del tribunale ordinario” e che ne consigliano la soppressione.
E già in occasione dell’emanazione del richiamato testo normativo che istituiva le sezioni distaccate del tribunale ordinario, nella relazione alle tabelle allegate al decreto, dopo avere dato atto dell’irrazionale distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio con particolare riferimento alle, allora esistenti, sezioni distaccate delle preture circondariali, veniva previsto, da un lato, la soppressione dei suddetti uffici giudiziari e da un altro l’istituzione delle sezioni distaccate del tribunale ordinario soltanto ove fosse risultato realmente necessario; in sostanza, già sulla base delle parole utilizzate in quel testo normativo, ci si muoveva in un’ottica di una complessiva razionalizzazione del servizio giustizia volta all’eliminazione dell’attuale distribuzione capillare sul territorio degli uffici giudiziari ed alla concentrazione degli stessi in un numero minore di unità dimensionate in modo adeguato per potere essere più funzionali al servizio che sono destinate a svolgere.
Oggi potrebbe ritenersi che le ragioni giustificatrici dell’esistenza prima delle preture mandamentali, poi delle sezioni distaccate delle preture circondariali e quindi, da ultimo, delle sezioni distaccate del tribunale ordinario, rappresentate storicamente dalla pretesa esigenza, fortemente avvertita a livello locale, di avvicinare il più possibile la giustizia al cittadino, siano pressoché venute meno e, comunque, si prestino ad essere diversamente considerate.
Difatti in primo luogo attualmente quella capillare presenza di un organo di giustizia sul territorio viene assicurata dal giudice di pace, in relazione al quale è stato già varato un intervento di razionalizzazione e riduzione degli uffici, all’esito del quale, comunque, verrà mantenuta una prima rete di presidi giudiziari. Ed inoltre oggi quella necessità di assicurare in tutto il territorio nazionale una capillare presenza della figura del magistrato professionale, che necessariamente deve portare con sé le relative dotazioni di personale e mezzi, deve ritenersi
fortemente ridimensionata alla luce dello sviluppo delle vie di comunicazione e delle nuove possibilità offerte dall’informatica e dalla telematica.
Deve poi necessariamente rilevarsi che le sezioni distaccate di tribunale, come risultò essere anche per le sezioni distaccate delle preture circondariali, si sono rivelate, alla prova dei fatti, dopo oltre un decennio di operatività, produttrici di inconvenienti sotto il profilo dell’efficienza del servizio e del buon andamento dell’amministrazione della giustizia anche con riferimento ai criteri di economicità di gestione. In più occasioni risulta che i capi degli uffici sono stati costretti ad adottare provvedimenti tabellari con i quali si prevede lo spostamento nella sede centrale della trattazione di numerose cause inevase precedentemente pendenti presso le sedi distaccate.
Più specificamente gli inconvenienti che si registrano in relazione ai tribunali di ridotte dimensioni in conseguenza della concreta impossibilità di realizzare quelle cosiddette economie di specializzazione risultano amplificati nella gestione di una sezione distaccata, laddove si impongono provvedimenti di assegnazione tabellare dei pochi giudici disponibili, non solo alle più diverse funzioni, ma anche a diverse sedi giudiziarie, dovendosi provvedere da parte del dirigente ad un continuo turn over dalle sedi distaccate alla sede centrale. Difatti l’impegno del magistrato presso la sede distaccata si presenta, frequentemente, più gravoso sia in termini professionali, per la necessità di farsi carico di materie diverse, sia da un punto di vista logistico, imponendo una mobilità, peraltro non retribuita, dalla sede centrale, presso la quale il magistrato è obbligato a risiedere, a quella distaccata ove è stato temporaneamente assegnato. Ciò comporta che le procedure tabellari di interpello per la copertura dei posti (rectius assegnazione dei ruoli) presso le sedi disagiate vadano frequentemente deserte con conseguente necessità per il dirigente di assicurare i servizi a mezzo di assegnazioni ufficio, foriere spesso di contestazioni e conseguenti impugnazioni da parte dei magistrati destinatari.
Riguardo alla possibilità di procedere ora, in attuazione, all’integrale soppressione delle sezioni distaccate, va segnalata l’opportunità di valutare la possibilità, in tesi non esclusa dalla legge delega, di procedere all’istituzione di nuovi tribunali, i cui circondari verrebbero formati attraverso l’accorpamento dei territori facenti capo a più sezioni distaccate destinate alla soppressione. Ciò potrà avvenire in un’ottica di decongestionamento dell’attività degli uffici più grandi, quando, sulla base dei parametri numerici analizzati relativi al numero dei procedimenti sopravvenuti ed al bacino di utenza facente capo alla circoscrizione delle sopprimende sedi distaccate, anche a seguito di accorpamenti di porzioni di territorio rientranti nei circondari dei tribunali provinciali, sia giustificata l’esistenza di un nuovo ufficio giudiziario.
 
Andrebbe vagliata cioè l’opportunità di superare definitivamente l’attuale status delle sezioni distaccate di tribunale, da un lato istituzionalmente chiamate a fungere quali articolazioni interne di un unico ufficio giudiziario, e da un altro lato destinate a svolgere, in via di fatto, sia pure limitatamente ad alcune materie le funzioni, delle attività riconducibili ad un vero e proprio tribunale. D’altro canto, l’organizzazione tabellare degli uffici giudiziari si rivela spesso poco compatibile con il mantenimento di sezioni distaccate che presentano problematiche specifiche spesso non assimilabili a quelle dell’ufficio centrale. Come si rilevava, la presenza delle sedi distaccate viene, di fatto, molto frequentemente, a rappresentare un fattore di disfunzionalità dell’amministrazione della giustizia generatrice di ingiustificati sprechi di risorse umane e materiali.
La ragionevole esigenza di avvicinare, anche da un punto di vista simbolico, la giustizia al cittadino, oggi, si presta infatti a essere realizzata con modalità alternative a quelle ormai datate, inconcepibili con un sistema razionale di organizzazione di uomini e mezzi, dell’esistenza di un presidio giudiziario in ogni centro abitato di dimensioni significative. Ci si vuole riferire, appunto, alla creazione di quei servizi telematici chiamati “sportelli della giustizia”, che si presterebbero a essere installati al livello delle comunità locali e a essere collegati agli uffici giudiziari di riferimento: a mezzo di tali strumenti telematici potrebbe essere garantita al cittadino, in modo agevole ed economico, la possibilità di fruire di quei servizi di certificazione e d’informazione, che, nella maggior parte dei casi, costituiscono il più frequente motivo di accesso agli uffici giudiziari.
 

La specificità delle grandi aree metropolitane che impone, al fine di decongestionare i relativi uffici giudiziari, la ridefinizione dei territori, mediante sdoppiamento degli uffici troppo grandi ed accorpamento aree che attualmente gravitano sui Tribunali metropolitani agli uffici limitrofi. La necessità di ulteriori approfondimenti, se possano essere ritenuti utili, al fine di individuare i più opportuni interventi di razionalizzazione e recupero di efficienza in relazione agli uffici giudiziari di Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo.

La necessità di decongestionare i tribunali delle grandi città metropolitane è stata da tempo tenuta presente dallo stesso legislatore, il quale, in attuazione della legge delega n. 254 del 1997 (art. 1 comma 1 lett. l) aveva previsto l’istituzione dei tribunali e delle relative procure della Repubblica di Legnano, Tivoli e Marano. In particolare allora era previsto un intervento, in realtà mai integralmente attuato, che avrebbe dovuto comportare la sostituzione delle preesistenti sezioni distaccate con nuovi tribunali i cui circondari sarebbero stati formati anche mediante  accorpamenti di territori limitrofi non facenti originariamente parte del territorio delle suddette sezioni distaccate.
Si trattava di un intervento, che appariva, già allora, destinato ad apportare risultati estremamente modesti nella direzione di un effettivo decongestionamento dei più grandi uffici giudiziari di primo grado del Paese. Difatti sulla base dei dati allora disponibili risultava che la nascita dei tre nuovi tribunali avrebbe potuto comportare una limitatissima diminuzione del carico di lavoro e del bacino di utenza dei tre tribunali maggiori 2. In sostanza il suddetto intervento, che è stato poi concretamente attuato solo in relazione al tribunale di Roma attraverso l’istituzione del tribunale di Tivoli, non sarebbe, comunque, risultato idoneo a risolvere in via definitiva i problemi derivanti dalla concreta ingestibilità di uffici di dimensioni eccessive. E del resto, ad oggi, una verifica concreta è possibile in relazione al tribunale di Roma, laddove l’istituzione del tribunale di Tivoli ha comportato esclusivamente un modesto alleggerimento del carico di lavoro e di utenza del tribunale capitolino solo in relazione ai territori per i quali la giurisdizione veniva esercitata attraverso le sedi distaccate di Tivoli, Castelnuovo di Porto e Palestrina; dei benefici si sono, indubbiamente, registrati sul piano organizzativo, essendosi superate definitivamente le disfunzioni derivanti dal dovere gestire attraverso un unico modulo organizzativo – quello del tribunale di Roma – realtà completamente diverse quali l’area metropolitana e i territori facenti capo alle preesistenti sedi distaccate della pretura circondariale di Roma insediate in centri densamente abitati della provincia di Roma 3. Ciò nonostante il tribunale di Roma è rimasto un ufficio del tutto sproporzionato rispetto a quelle dimensioni medie di ufficio giudiziario di primo grado che consentano di massimizzare le risorse disponibili.

Con specifico riferimento alla situazione degli uffici giudiziari delle aree metropolitane in esame, occorrerebbe in questo quadro procedere a un ulteriore approfondimento al fine di verificare quali siano in concreto le più opportune soluzioni per decongestionare le suddette realtà giudiziarie. Si rappresenta, infatti, la necessità di individuare, in relazione alla specificità di ognuna delle situazioni locali, quegli interventi più

(Nella relazione ministeriale era previsto che l’istituzione dei nuovi tribunali avrebbe comportato i seguenti benefici in favore dei tribunali maggiori: con l’istituzione del tribunale di Legnano si sarebbe dovuta registrare una diminuzione del carico di lavoro del tribunale di Milano stimata nella misura del 10% nonché una diminuzione di utente stimata nella misura del 20%; con l’istituzione del tribunale di Marano si sarebbe dovuta registrare una diminuzione del carico di lavoro del tribunale di Napoli stimata in una misura variabile dal 15 al 23% nonché una diminuzione di utente stimata nella misura del 30%. Con riferimento al tribunale di Tivoli i dati allora stimati nella misura di una diminuzione del 10 % carico di lavoro del tribunale di Roma e del 12% degli utenti, meriterebbe di essere verificata in concreto.
3 A tutt’oggi nel circondario del tribunale di Roma rimane esclusivamente la sezione distaccata di Ostia, il cui territorio, come è avvenuto già per Fiumicino, potrebbe essere accorpato al tribunale di Civitavecchia, ove si ritenesse che lo stesso, in relazione agli indici valutati dalla commissione, non dovesse essere soppresso)
 
più idonei per ottenere il fine auspicato rappresentato dalla creazione di unità operative di dimensioni gestibili in termini di personale amministrativo e giudiziario. E in questa direzione, salvi i necessari approfondimenti, laddove ritenuti utili dal Ministro, si dovrà procedere a individuare le misure più appropriate sulla base delle specificità territoriali, che potranno prevedere, in via alternativa o combinata, l’istituzione di ulteriori tribunali cittadini o extra cittadini o la revisione dei circondari dei tribunali che confinano con quello metropolitano.
Anche in forza delle considerazioni da ultimo svolte, si potrebbe imporre la necessità di mantenere l’esistenza dei tribunali sub provinciali adiacenti alle grandi aree metropolitane, sia pure intervenendo con accorpamenti di territorio a vantaggio dei tribunali sub provinciali. Difatti una diversa soluzione con soppressione dei suddetti uffici imporrebbe di riversare sull’unico tribunale in funzione nell’area metropolitana il relativo carico di lavoro relativo all’ufficio soppresso, con ciò determinando un ulteriore congestionamento di uffici già oltremodo gravati; ciò sarebbe chiaramente in contrasto con gli obbiettivi della legge delega che, tra l’altro, si propone, appunto, di razionalizzare il servizio giustizia nelle aree metropolitane.
 

Diritto processuale intertemporale e profili ordinamentali riguardanti i perdenti posto.

Riguardo a questo delicato tema può certamente essere utile il precedente normativo relativo all’istituzione del giudice unico, seppur valutando le peculiarità che lo riguardarono.
La soluzione prevista dal d.lgs. n. 51 del 1998 fu innanzi tutto nel senso di dettare un a peculiare disciplina per i magistrati delle preture e dei tribunali addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie – destinati, nei tribunali divisi in sezioni, alla sezione incaricata della trattazione di quelle controversie, ferma restando la possibilità di chiedere il trasferimento a posti di organico nella sezione lavoro della corte d’appello del distretto in cui fosse compreso l’ufficio d’appartenenza (art. 36, comma 2).
Ma questo regime fu dettato dalle particolarità delle funzioni di giudice del lavoro.
Riguardo agli altri perdenti posto, il d.lgs. n. 51 del 1998 previde (art. 34) che i magistrati già assegnati alle preture e i magistrati onorari già addetti quali vice
 
pretori agli uffici soppressi, entrassero di diritto a far parte dell’organico dei tribunali cui venivano trasferite le funzioni degli uffici soppressi. In entrambi i casi, l’assegnazione dei magistrati in servizio presso questi ultimi non costituì trasferimento d’ufficio, nella logica per cui non si aveva la soppressione di un posto o di un singolo ufficio, bensì la creazione di una nuova struttura nascente dalla fusione di due uffici precedenti.
Questa logica, anche in termini di ricostruzione ermeneutica della volontà dell’attuale legislatore delegante, potrà ispirare anche l’ipotesi di soppressione per accorpamento anche parziale e suddiviso, di un ufficio giudiziario in favore di uno o più altri uffici, in linea con la lettera g) della delega qui in parola in cui è previsto che i magistrati e il personale amministrativo entrino di diritto a far parte dell’organico, rispettivamente, dei tribunali e delle procure della Repubblica presso il tribunale cui saranno trasferite le funzioni di sedi di tribunale, di sezioni distaccate e di procura presso cui prestavano servizio, anche in sovrannumero riassorbibile con le successive vacanze. Così com’è in linea con la specifica (lettera h) per cui l’assegnazione dei magistrati e del personale prevista dalla lettera g) non dovrà costituire assegnazione ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede, né trasferimento ad altri effetti.
La scelta di continuità effettuata dal legislatore delegato potrà essere così agevolmente finalizzata a non disperdere il patrimonio di professionalità dei magistrati, mirando a far sì che i magistrati continuino sostanzialmente a occuparsi degli affari già di loro competenza seppure in una realtà dimensionale e organizzativa diversa, non subendo, quindi, il disagio dell’inserimento in una differente realtà lavorativa.
In questa latitudine, il passaggio dall’ufficio soppresso a quello unificato non dovrebbe aver rilievo non solo ai fini della legittimazione per domandare il trasferimento ad altro ufficio, ma neppure a fini economici qualora previsti in relazione al mutamento di sede geografica, in linea con i vincoli di bilancio paritari indicati dalla lettera q) della delega.
Il delegante potrebbe anche marcare normativamente un titolo di preferenza utile ai magistrati “riassegnati”, in sede di prima collocazione tabellare, a continuare a svolgere le medesime funzioni.
Quanto al tema della nuova collocazione dei magistrati già titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici soppressi (comma 5 dell’art. 37 del d.lgs. n. 51 del 1998), la diffusa relazione d’accompagnamento al decreto legislativo del 1998 sottolineava l’esigenza di contemperare la specifica necessità di non
 
disperdere il patrimonio di professionalità acquisite dai magistrati che avevano ricoperto ruoli di responsabilità, con quella di assicurare, nel più breve tempo possibile, una definitiva assegnazione a tutto il personale perdente posto senza oneri aggiuntivi per il bilancio statale.
Si volle evitare che l’espletamento delle funzioni direttive o semidirettive potesse essere considerato uno status del magistrato che gli fornisse la garanzia di continuare a ricoprire un ruolo similare.
Per queste ragioni si scartò qualsiasi ipotesi di concorso per posti direttivi e semidirettivi riservato unicamente ai magistrati già titolari dei corrispondenti posti soppressi, in quanto non avrebbe permesso una seria valutazione comparativa per la scelta dei più idonei.
La linea seguita dal legislatore delegato privilegiò per questa via le istanze di razionalità organizzativa e di efficienza operativa degli uffici rispetto alle aspettative dei magistrati con funzioni direttive e semidirettive negli uffici soppressi, ma “senza imporre sacrifici eccessivi e non funzionali agli obiettivi della riforma”.
L’art. 37 del d.lgs. n. 51 del 1998 dispose così che, in deroga alle allora vigenti norme sull’ordinamento giudiziario, i magistrati titolari dei posti di consigliere pretore dirigente, di consigliere pretore, di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale e di procuratore aggiunto dello stesso ufficio, in attesa di essere destinati ai nuovi incarichi o funzioni, esercitassero le funzioni di presidente di sezione o di procuratore aggiunto presso gli uffici cui erano trasferite le funzioni degli uffici soppressi. I magistrati titolari dei posti di presidente di sezione di tribunale eventualmente soppressi continuavano poi a esercitare transitoriamente tali funzioni. Si aggiunse, inoltre, che i magistrati titolari dei posti soppressi di consigliere pretore dirigente e di procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale sarebbero stati titolari di una funzione di collaborazione con il presidente del tribunale e con il procuratore della Repubblica per la risoluzione, in particolare, dei problemi di organizzazione degli uffici ristrutturati.
Si stabilì anche, infine, una speciale disciplina per i successivi trasferimenti concernenti tali magistrati (art. 37 comma 2).
L’attuale delega resta silente e si può ritenere che questo legittimi l’ipotesi di soluzioni simili, in relazione alle variazioni dimensionali esitate dalle riduzioni operate sull’entità quantitativa e dimensionale degli uffici giudiziari.
 
Peraltro sul punto si formò, in ordine alla riforma del giudice unico, una giurisprudenza amministrativa che il legislatore delegato potrebbe utilmente tenere a mente.
Il Consiglio di Stato rilevò in particolare che a fronte delle disposizioni dell’articolo 37, con cui, differendo l’avvio della collocazione dei magistrati perdenti posto in un ambito spaziale abbastanza ampio, “di fatto si bloccava le professionalità di tali magistrati, rendendole indisponibili fino all’esaurimento delle predette procedure di ricollocazione, prima a domanda e poi d’ufficio, incidendo così astrattamente in modo assolutamente negativo sull’organizzazione giudiziale, impedendo loro di partecipare ai concorsi per la copertura di posti vacanti”, il Consiglio Superiore della Magistratura legittimamente, con circolare, aprì ai perdenti posti la partecipazione ai concorsi per la copertura dei posti vacanti, guadagnando in questo modo alla causa della funzionalità degli uffici giurisdizionali le relative professionalità. Il massimo organo giurisdizionale amministrativo osservò che “in questo modo non vi [era] alcuna sovrapposizione della normativa stabilita con la circolare [impugnata] rispetto a quella fissata dal decreto legislativo, diverse essendone le finalità ed i rispettivi campi d’azione” (Cons. di Stato, 10 aprile 2002, n. 1927).
Ispirandosi a questa normativa, rispetto alla quale furono peraltro dichiarate più volte manifestamente infondate le eccezioni d’incostituzionalità sollevate con riferimento agli artt. 3, 4, 35, 76, 97, 105 e 107 della Costituzione (cfr. ad es. TAR Lazio, 3 agosto 2001 n. 6926), il legislatore delegato potrebbe ora tenere conto dell’ulteriore contenzioso che seguì l’applicazione del descritto regime, enunciando espressamente, ad esempio, il valore ex lege prevalente o soggetto a bilanciamento (come da giurisprudenza consiliare che ebbe ad elaborarsi) delle funzioni direttive o semidirettive esercitate negli uffici soppressi, quanto alle domande per ulteriori conferimenti di tali funzioni.
In aggiunta a ciò, appare coerente alla finalità di contemperare tutti gli interessi in gioco suggerire che sia prevista espressamente una deroga al termine di legittimazione previsto dall’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario per i dirigenti e semi dirigenti che vogliano chiedere il trasferimento ad altro ufficio diverso da quello assegnato loro ex lege con il presente intervento normativo. In altri termini sembra opportuno prevedere che costoro, se pur non siano trascorsi tre anni da quando assunsero le funzioni poi soppresse, siano considerati legittimati a partecipare ad ogni concorso per il conferimento di altre funzioni, così ottenendo il risultato da un lato di consentire loro di andare a svolgere le stesse funzioni in altra sede senza disperdere il patrimonio professionale acquisito, dall’altro di attenuare il disagio personale che inevitabilmente in qualche misura non può non derivare
 
dalla “perdita” di un ufficio direttivo o semidirettivo, spesso faticosamente ottenuto previo concorso comparativo con altri validi aspiranti, senza danni per l’amministrazione giudiziaria nel suo complesso.
Passando invece all’esame delle questioni processuali, e iniziando dai profili civili, potrà farsi tesoro anche qui della precedente esperienza derivata dalla riforma del giudice unico, tenuto conto del fatto che la delega non ha ritenuto di pronunciarsi.
L’art. 1, comma 2, della legge delega n. 254 del 1997 enunciò, diversamente, un criterio direttivo in base al quale doveva essere assicurata la rapida trattazione dei procedimenti pendenti, fissando le fasi oltre le quali i procedimenti non potevano passare ad altro ufficio e stabilendo le relative condizioni. Attenendosi a tale criterio direttivo, le disposizioni transitorie concernenti il processo civile ebbero come obiettivo quello, come indicato dalla relazione illustrativa, di “limitare quanto più possibile la sopravvivenza degli uffici soppressi per l’esaurimento del contenzioso pendente, la quale” avrebbe potuto essere “d’ostacolo al decollo del nuovo sistema di competenze”.
La scelta fu quella di tenere in vita un ufficio soppresso, come semplice riferimento processuale, in quanto spogliato sul piano organizzativo della dotazione del personale giudicante e amministrativo, per l’esaurimento degli affari pendenti, dettagliando il segmento processuale superato il quale valevano le nuove disposizioni.
La differenza era data, rispetto al caso della delega oggetto della presente relazione, proprio dal fatto che si mutava anche disciplina processuale, profilo che nella fattispecie che qui occupa risulta assente.
Si è visto che nello schema di decreto legislativo sui giudici di pace, il legislatore delegato ha semplicemente disciplinato, per così dire, un “transito di udienze”.
Una soluzione alternativa, che consentirebbe anche di risolvere i problemi di prima comparizione, potrebbe essere quella dell’interruzione ex lege, con conseguente riassunzione davanti al nuovo ufficio, se ritenuto specificando l’assenza di ulteriori oneri tributari.
Questa opzione permetterebbe, tra l’altro, a quel che pare, un incremento di efficienza organizzativa, consentendo al giudicante, investito dal ricorso, di riorganizzare in modo complessivamente programmato la cadenza delle udienze di prosecuzione della trattazione delle controversie.
 
Inoltre potrebbe essere opportuno specificare la permanenza delle decadenze e preclusioni già verificatesi e la validità degli atti compiuti davanti al precedente ufficio (in asse con l’art. 136, comma 1, del d.lgs. n. 51 del 1998, e con il disposto che ora si legge anche in tema di traslatio giurisdizionale all’art. 59, comma 2, della legge 18 giugno 2009 n. 69).
Quanto ai profili processuali penali, è innanzitutto necessario osservare che nel caso di specie, a differenza che per quanto avvenne in occasione dell’introduzione del giudice unico di primo grado, la situazione di passaggio dovrebbe essere più agevole perché essa investirà solo problemi organizzativi e non anche giuridici, almeno in linea generale. Non vi sarà, infatti, alcun mutamento di competenza per materia né, a ben vedere, mutamento di competenza per territorio, perché investito del processo sarà sempre il solo giudice competente per il luogo ove il reato si sia consumato. Cambierà soltanto l’individuazione del giudice in via generale competente per quel luogo, che potrà essere un tribunale invece che un altro, il che non dovrebbe avere alcuna conseguenza negativa sul piano della validità degli atti compiuti nei processi già iniziati a condizione che la persona fisica del giudice, o dei giudici in caso di competenza collegiale, non cambi. E questo potrebbe e dovrebbe accadere nella maggior parte dei casi in considerazione del fatto che la legge delega prevede che i magistrati del tribunale accorpato vadano automaticamente ad incrementare l’organico del tribunale accorpante, cosicché gli stessi giudici potranno proseguire presso il nuovo tribunale di appartenenza i processi da loro stessi iniziati presso il vecchio. Tale soluzione è conseguibile attraverso meri provvedimenti di natura tabellare, che normalmente sono adottati in via amministrativa secondo le regole generali, ma può eventualmente essere incentivata dal legislatore delegato introducendo una specifica norma che espliciti l’opportunità di provvedere in tal senso per evitare diverse soluzioni che sarebbero assolutamente disfunzionali.
Diversamente si dovrà necessariamente porre il problema dell’efficacia degli atti in specie dibattimentali in ipotesi di mutamento del giudice, anche collegiale, persona fisica.
È noto che l’attuale assetto processuale, impone, ex art. 525 c.p.p., l’assunzione degli atti funzionali alla deliberazione decisoria da parte del medesimo giudice, pena la nullità assoluta di quest’ultima. Anche se è stato precisato – e potrebbe essere di rilievo nelle fattispecie qui implicate – che il provvedimento di rinvio dell’udienza ad altra data, comunicato all’imputato, non è inficiato da nullità d’ordine generale, per violazione delle disposizioni che concernono l’intervento dell’imputato, se non fa menzione, in caso di mutamento del giudice, del nominativo del magistrato persona fisica che subentra nella
 
trattazione del procedimento (Cass. pen., 22 gennaio 2008, n. 5996). Così com’è stato chiarito che il principio dell’immutabilità del giudice esige unicamente, a pena di nullità assoluta, che la sentenza sia deliberata dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, ma questo non implica di per sé, né alcuna norma lo prevede, che la mutazione della persona fisica del giudicante e la conseguente rinnovazione del dibattimento sia notificata all’imputato contumace e al suo difensore non comparso o al precedente difensore d’ufficio, nominato in sostituzione di quest’ultimo (Cass. pen., 2 aprile 2004 n. 31418).
Ragionandosi sull’ipotesi di consentire una deroga finalizzata eccezionalmente a non disperdere tempi processuali, in modo non immotivato ma connesso a quella che potrebbe rivelarsi la più importante riforma dell’organizzazione giudiziaria del dopoguerra, va comunque tenuta in conto la giurisprudenza costituzionale secondo cui l’immutabilità del giudice costituisce un principio immanente, quasi archetipico, dell’impianto accusatorio, con radici di ragionevolezza intrinseca anche costituzionale.
Si legge in una recente sentenza della Consulta che “il diritto all’assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere – diritto che, in base alla ricordata giurisprudenza di questa Corte, la parte esercita nel chiedere la rinnovazione dell’esame del dichiarante – si raccorda, almeno per quanto attiene all’imputato, anche alla garanzia prevista dall’art. 111, terzo comma, Cost., nella parte in cui riconosce alla «persona accusata di un reato la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico» e «di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa»; che viene quindi in rilievo, a tale riguardo, quanto reiteratamente affermato proprio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo […] in relazione all’omologa previsione dell’art. 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848 (previsione che è servita da modello a quella dell’art. 111 Cost., dianzi ricordata): e, cioè, che la possibilità, per l’imputato, di confrontarsi con i testimoni in presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse costituisce una garanzia del processo equo, in quanto permette a quest’ultimo di formarsi un’opinione circa la credibilità dei testimoni fondata su un’osservazione diretta del loro comportamento; con la conseguenza che ogni mutamento di composizione dell’organo giudicante deve comportare, di norma, una nuova audizione del testimone le cui dichiarazioni possano apparire determinanti per l’esito del processo (sentenza 27 settembre 2007, Reiner e altri contro Romania; sentenza 30 novembre 2006, Grecu contro Romania; sentenza 10 febbraio 2005, Graviano contro Italia; sentenza 4 dicembre 2003, Milan contro Italia; sentenza 9 luglio 2002, P. K. contro Finlandia)” (Corte cost., 7 giugno 2010 n. 205).
 
Nella medesima e netta decisione si aggiunge “che la ratio giustificatrice della rinnovazione della prova non si richiama, dunque, ad una presunta incompletezza o inadeguatezza della originaria escussione, ma si fonda sulla opportunità di mantenere un diverso e diretto rapporto tra giudice e prova, particolarmente quella dichiarativa, non garantito dalla semplice lettura dei verbali: vale a dire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame; connotati che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio, così da poterne poi dare compiutamente conto nella motivazione ai sensi di quanto previsto dall’art. 546 comma 1, lettera e), cod. proc. pen.”.
È vero che questa giurisprudenza specifica “che l’anzidetto diritto della parte alla nuova audizione non è assoluto, ma “modulabile” (entro limiti di ragionevolezza) dal legislatore”, ma lo fa riferendosi “alla possibilità che il legislatore introduca presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio del diritto in questione (ordinanze n. 318 del 2008 e n. 67 del 2007); mentre la stessa Corte di Strasburgo ha riconosciuto che esso ammette eccezioni”, fermo che “ciò non toglie, tuttavia, che il riesame del dichiarante, in presenza di una richiesta di parte, continui a rappresentare la regola”, la quale “nel processo penale costituisce uno dei profili del diritto alla prova, strumento necessario del diritto di azione e di difesa, da riconoscere lungo l’arco di tutto il complesso procedimento probatorio, quale diritto alla ricerca della prova, alla sua introduzione nel processo, alla partecipazione diretta alla sua acquisizione davanti al giudice terzo e imparziale, da ultimo alla sua valutazione ai fini della decisione da parte dello stesso giudice”.
A fronte di tanta nettezza il legislatore delegato dovrebbe prestare la massima attenzione all’ipotesi di deroga a tale principio, sia pure in una situazione connotata da marcatissima eccezionalità.
Permarrà in ogni caso la necessità di assicurare la compiuta messa a conoscenza di tutti i soggetti processuali della prosecuzione del procedimento davanti al nuovo giudice, ovverosia la necessità di porre a conoscenza tutte le parti della nuova ubicazione dell’aula ove si terrà la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della riforma. Il codice di procedura penale conosce l’istituto della notificazione per pubblici annunzi, limitata però alle sole persone offese e condizionata al verificarsi di particolari situazioni (pluralità delle persone offese in un solo procedimento, ecc..). Si può pensare a un’applicazione, anche stavolta in via eccezionale, più ampia dell’istituto (la cui efficacia dovrebbe ragionevolmente  essere amplificata dalla notorietà dell’evento), che possa riguardare tutte le parti del processo, affiancata dalla previsione di ipotesi di riammissione in termini in caso di dimostrata e ragionevole impossibilità di averne avuto conoscenza da parte dell’interessato.
 

Ridefinizione delle piante organiche: cenni.

La ridefinizione delle piante organiche costituirà l’ultimo passaggio attuativo della riforma, non certo per importanza, e potrà essere esercitato con decreti, la cui natura appare essere regolamentare, ai sensi della lettera i) della norma di delegazione.
Sul punto il gruppo di studio deve far rinvio alle determinazioni attuative degli uffici organizzativi ministeriali, all’esito dell’opportuna raccolta dei dati necessari e tenendo conto del già illustrato modello dimensionale di ufficio giudiziario, non senza fare un cenno finale al fatto che l’esercizio della delega potrà essere l’occasione per ponderare le stesse piante anche in relazione ai mutamenti normativi rilevanti quali gli spostamenti di competenza conseguenti all’introduzione del tribunale delle imprese varato con il decreto legge deliberato al consiglio dei ministri del 20 gennaio 2012.

 

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