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Reddito di cittadinanza perfettibile, evitare che ne benefici chi non ne ha diritto

ITALIA.  DI CALOGERO PUMILIA

Qualche tempo addietro Salvini, Conte e Di Maio, acconciati da uomini-sandwich, comunicarono al popolo italiano l’approvazione del reddito di cittadinanza. Conte e Di Maio, poi, con uno stuolo di felici, esultanti grillini, dal balcone di Palazzo Chigi annunciarono il miracolo: la povertà era stata sconfitta. Ti dò un aiuto temporaneo mentre tu cerchi un lavoro, accompagnato dai navigator, figure improbabili e indefinite alle quali tuttavia è stato dato un nome inglese che suona bene.

In poco tempo si scoprì che una parte dell’obiettivo era stata mancata e che la legge serviva ad alleviare i problemi dei disoccupati ma non li aiutava per niente nella ricerca dell’occupazione. Essa è risultata improvvisata e piena di storture, che consentono e perfino suggeriscono abusi, e a volte incentiva a tenere saldo il fondo schiena sulla poltrona.

Il reddito, comunque, ha incrociato casualmente un periodo difficilissimo nel quale è stato molto utile. Ha alleviato, non certo cancellato, la povertà. Ne beneficiano 1.600.000 nuclei familiari e 3.700.000 persone con un emolumento medio di 580 euro mensili. Un risultato non da poco nel periodo che viviamo e in modo particolare per il Sud e per le Isole, dove si concentrano 2.000.000 di percettori a fronte dei 579.000 delle regioni del Nord e dei 419.000 del Centro. La Sicilia, con il 19% di loro, è seconda solo alla Campania, e Palermo è ovviamente in testa con 33.341 cittadini, seguita da Catania con 31.836 e da Messina con 12.430.

Probabilmente scrivere di questi argomenti rischia di farti passare per populista e demagogo, accodandosi a quella forma di populismo che non da sola sta riducendo il popolo a plebe senza identità e senza coscienza di classe e il ceto medio a nuovo proletariato – un’espressione forse desueta, anche perché il riferimento alla prole risulta oggi improprio.

La lotta di classe, come è stato già detto, è finita da tempo con un risultato opposto rispetto a quello profetizzato da Marx. L’hanno vinta i borghesi, e la loro egemonia culturale ha relegato al ruolo di poveri illusi fuori dalla storia coloro che parlano ancora di giustizia e di equità, sia che rimangano nostalgici dell’antica sinistra, sia che facciano appello ai valori del cristianesimo sociale.

Se poi ti azzardi a dire che ai ricchi dovrebbe essere chiesto un contributo di solidarietà per riequilibrare almeno in parte le macroscopiche disuguaglianze, ti saltano addosso e ti indicano spregiativamente come colui che vuole l’esproprio proletario. Ché anzi, i ricchi li devi aiutare, con la tassa piatta. In questo contesto è venuto facile a Meloni e Salvini accantonare il tema della riforma del reddito e proporne tout court l’abolizione.

Via i sussidi a tutti, compresi vecchi e disabili, i quali hanno un reale problema ad alzarsi dalle poltrone. Si arrangino. È una questione che riguarda loro. Lo Stato ha ben altro a cui pensare. Lo Stato non deve più distribuire il metadone – lo dice con grazia e delicatezza Meloni -, quella sostanza che, tradotta in reddito, elimina la dipendenza dal lavoro. A Brancaccio, allo Zen e a Librino, senza il metadone si potrà tornare nelle numerose fabbriche che cercano manodopera e gli otto miliardi che finanziano il reddito possono essere girati agli imprenditori, come sostiene Salvini, che sono lì, pronti ad incrementare l’occupazione nei loro opifici di Scampia a Napoli e di San Paolo a Bari.

I due leader della destra sono coerenti con la loro cultura e questa uscita, alla vigilia delle elezioni amministrative, può far loro ottenere maggiori consensi, nel Nord industriale e tra la borghesia. L’opinione pubblica, del resto, convinta a forza di slogan che quelli che percepiscono ogni mese poco più di cinquecento euro sono tutti scansafatiche che si sottraggono alle fantomatiche richieste di lavoro che restano inevase, è particolarmente sensibile al rigore nei confronti dei poveri. I due capi della destra non pagheranno pegno neppure nel Sud, perché i poveri non hanno voce, non sono un gruppo di pressione, non creano alcun problema politico. Molti di loro perfino li votano. Diverso sarebbe se lo Stato, insieme al metadone, togliesse la “cocaina” dei mancati controlli, che rende la vita gioiosa ed effervescente agli evasori fiscali. Ma loro sono tanti, sono forti e hanno la capacità di farsi valere. Non si devono mettere le mani nelle tasche degli italiani, specialmente di quelli che le hanno piene e non tirano fuori un centesimo per finanziare lo Stato e i servizi che eroga, a cominciare dalla Sanità.

“Appuiarisi a lu muru vasciu” è sempre facile. Lo è ancora di più quando la voce di coloro che avrebbero dovuto difendere e rappresentare i poveri si è fatta flebile fino quasi a spegnersi.

 

Filippo Cardinale

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