Sono passati 21 anni da quel 23 maggio 1992 quando sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, il magistrato antimafia Giovanni Falcone venne fatto saltare in aria con 400 kg di tritolo.
Nell’attentato mafioso persero la vita anche sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.
Si inaugurava così la stagione delle bombe: nel biennio 1992-1993; dopo l’attentato di Capaci venne ucciso in circostanze analoghe, pochi mesi più tardi sempre a Palermo in via d’Amelio Paolo Borsellino.
Il 23 maggio è diventato la data simbolo per il ricordo dei magistrati uccisi dalla mafia e quelli che hanno raccolto la loro pesante eredità continuando la lotta contro la criminalità organizzata. Tante le manifestazione per ricordare con la consapevolezza però che il ‘ricordo’ da solo non può bastare.
Serve tenere alta la guardia e continuare con perseveranza a scavare, non accontentandosi delle mezzeverità che hanno caratterizzato questi morti. Questo il messaggio corale delle tante persone accorse in queste ore davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo.
A distanza di più di vent’anni da quella buia stagione continuano ad essere tanti i pezzi mancanti sulle Strage di Capaci e di Via d’Amelio, che hanno impedito di fare completa chiarezza sulle dinamiche e sui responsabili di quel biennio nero.
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