Pd, festa dell’Unità con un partito diviso in due e ciascuno fa la pòropria

“La chiamano Festa dell’Unità. Ma nel Partito democratico di Sicilia, nettamente diviso in due, ciascuno si fa la propria. Ciascuno ripete un rito stanco, senza popolo e senza rilievo”
DI CALOGERO PUMILIA– La chiamano Festa dell’Unità. Ma nel Partito democratico di Sicilia, nettamente diviso in due, ciascuno si fa la propria. Ciascuno ripete un rito stanco, senza popolo e senza rilievo. A ciascuna metà partecipa metà del vecchio ceto politico, alcuni dei vecchi compagni, che magari hanno memoria e nostalgia di quelle Feste dell’Unità con le masse, con i dibattiti serrati, dalle quali venivano fuori la voglia e l’orgoglio di esserci e insieme l’odore intenso delle salsicce alla brace. Non era un monolite il vecchio Partito comunista e, a scanso di equivoci, non mi apparteneva, ne ero lontano e perfino in contrasto, senza mai disconoscerne il valore e il ruolo. Discutevano quei comunisti, si scontravano, si organizzavano in correnti. Favoriti tuttavia dal cosiddetto centralismo democratico, guidati da leader prestigiosi e responsabili, animati dal buonsenso, si presentavano uniti anche alla Festa dell’Unità, per trasmettere un senso di forza e di affidabilità.
Ora in Sicilia, dove residua parte di quel mondo insieme all’altro che proviene dalla Democrazia cristiana, sono in tutto quattro gatti, divisi giusto in due. Non si riconoscono, non si incontrano e quelle poche volte che capita arricciano il pelo e mostrano i denti.
Alle elezioni raggiungono la metà della percentuale nazionale, amministrano un solo capoluogo, non hanno vinto in nessuna provincia dove di recente si è votato, sono scarsamente rilevanti in Assemblea, con due gruppi parlamentari, uno di nove e l’altro di tre deputati e di fatto hanno rinunciato ad essere forza politica credibile e alternativa alla destra.
Un congresso che, come è noto, ha interessato solo metà degli iscritti e dove si è votato in modo palese come succede nei “regimi”, anche con il consenso della Schlein ha rieletto Barbagallo, reduce di ripetute, pesanti sconfitte.
Quella elezione è stata contestata, è oggetto di un ricorso e gli organismi preposti non trovano il tempo e la voglia di eliminare una situazione imbarazzante e paradossale. In questo contesto si svolge la Festa dell’Unità anche a Palermo con un programma rilevante e con la partecipazione di ospiti illustri – Barbagallo se l’è fatta a Pedara, il suo paese, con parenti ed amici – e, non riconoscendone il ruolo, Teresa Piccione, segretaria provinciale democratica, non lo ha invitato. Anche a Palermo si ripropone e si esalta così la contesa, che sarà difficile superare, come sarà difficile togliere le scorie e la ruggine depositate su una realtà già in precedenza litigiosa. È improbabile immaginare che si possa suggellare un nuovo patto, affermare una condizione di reciproco rispetto, formare un gruppo dirigente coeso con le stesse persone oggi in lotta, dar vita ad un partito credibile, rispettato, attrattivo e alternativo alla destra.
Alla fine, al di là della ripartizione dei torti, delle manifestazioni di irresponsabilità che gravano principalmente su chi ha voluto portare fino in fondo lo scontro, tutti appaiono irresponsabili. Tutti partecipano ad una rissa da cortile, ad una banale guerra del secchio. Tutti dimostrano di non sapere alzare lo sguardo per vedere il mondo circostante, le ventimila persone, in particolare giovani, che hanno sfilato nei giorni scorsi per le strade e le piazze di Palermo insieme alle centinaia di migliaia in tutta Italia a chiedere la Pace e la fine delle brutali violenze a Gaza. Quei cittadini spontaneamente hanno voluto far sentire la loro voce. Cercano la politica.
C’è qualcuno, oltre che a Roma, a Palermo o in Sicilia capace di dialogare con loro, di coglierne il dissenso crescente, di comprendere i mutamenti che stanno sconvolgendo il vecchio equilibrio mondiale? Quei mutamenti riguardano anche noi, mostrano anche da noi e principalmente da noi l’inadeguatezza della politica politicante, della maggioranza che finge di governare e sta insieme a spartirsi il potere, della opposizione debole, divisa e priva di un progetto valido. Quei cittadini che sono scesi in piazza e gli altri che da anni disertano le urne cercano nuove classi dirigenti credibili. Ho sentito domande di questa natura provenire da parecchi giovani che vorrebbero dare il loro contributo al Partito democratico, riportarvi unità, indurlo ad occuparsi dei loro problemi e di quelli della società isolana. Quei giovani non vogliono diventare parte del banale conflitto interno, non intendono essere costretti a scegliere tra i contendenti. Sarebbe delittuoso scoraggiarli, continuando ad offrire loro l’immagine di una politica diseducante, banale e priva di valore.