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LA SICILIA CHE PROTESTA E LA POLITICA CHE GUARDA

EDITORIALE

La protesta esplosa in questi giorni appare, ormai, come un grosso sasso gettato nello stagno. E avviene nella nostra Sicilia, nella nostra provincia, nei nostri paesi. Gli agricoltori si uniscono a quelli dei paesi limitrofi e fanno squadra per far valere le ragioni delle loro proteste. Si aggiungono i marinai saccensi, anche loro vittime di una corsa al rialzo del prezzo del carburante davvero ingiustificabile e insopportabile per mandare avanti i mezzi di lavoro, siano essi su terra o su mare.

La Sicilia ha offerto nel passato spunti di protesta contro uno stato di crisi opprimente, contro soprusi. Da tempo, da molto tempo, la Sicilia si è addormentata, stando alla mercé di una classe politica inadatta, incapace, insufficiente. I nostri politici hanno profuso parole a mai finire. Belle parole alle quali non credevano neanche loro, ma efficaci per ipnotizzare palette di “affezionati” sostenitori che non hanno guardato oltre il proprio naso.

Quante mani sono state battute, applausi immeritati nei confronti di una classe politica disattenta alle questioni della collettività e tutta protesa, invece, a proteggere la loro casta, i loro privilegi. Privilegi che durano anche dopo la morte, visto che in Sicilia al deputato che muore, anche se non è più deputato, spetta un rimborso di 5 mila euro per le spese del funerale. Troppi privilegi che hanno reso la distanza tra società civile e classe politica. Ora tutti i nodi sono al pettine, inesorabilmente. La protesta monta come panna. Alla protesta degli autotrasportatori si unisce quella degli agricoltori, dei pescatori, degli studenti, dei giovani, dei pensionati. Si è arrivati davvero allo stremo, e i pullman che da Ribera partono verso il nord sono sempre pieni di gente che cercano fortuna altrove.

Il tempo delle chiacchiere è davvero finito, come è finito il tempo in cui ognuno pensa a coltivare il proprio orticello. La pesante eredità che lasciamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, è il frutto della nostra ottusità ad ossequiare una classe politica che ha compiuto scelte effimere, sbagliate, sperperando un mare di soldi pubblici. Noi viviamo nella provincia più invivibile e povera d’Italia, e le migliori postazioni statistiche ci piazzano sempre negli ultimi posti. Niente infrastrutture, qualità della vita da terzo mondo, problemi atavici che tali sono rimasti senza trovare una soluzione. La protesta siciliana ha il simbolo dei forconi. Finalmente, e che possano servire a spronare una classe politica. La Sicilia è in ginocchio, come lo sono i nostri paesi, come lo è Sciacca, la nostra prvincia.

 E’ il tempo di rinnovare una cultura diversa assai da quella che ci ha resi inerti. E’ finito il tempo di applaudire, è iniziato quello in cui la nostra voce deve essere grave, forte, determinante. Forse non si comprende bene, ancora, la gravità di una crisi che da noi dura da oltre un ventennio. Non bastano più feste e festini, adesso di mezzo c’è il pane.

Mentre la Sicilia protesta, la politica guarda. La protesta va colta dai politici e dagli amministratori siciliani. Proprio loro dovrebbero far valere le ragioni della protesta e portarla a Roma urlando che la Sicilia non ce la fa più, è in ginocchio. Si mobilitino, si diano da fare, come quando in tempo di elezioni questuano il voto.

Redazione Corriere

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