La ketamina, sintetizzata negli anni ’60 come anestetico dissociativo, è oggi al centro di un fenomeno preoccupante: il suo uso ricreativo è in costante aumento, soprattutto tra i giovani europei. Nata per ridurre il dolore senza compromettere la respirazione – qualità che l’ha resa preziosa in medicina d’urgenza e veterinaria – la sostanza è stata progressivamente “riscoperta” come droga da sballo, nota con nomi di strada come Special K, Kit Kat o semplicemente K2.
Secondo i dati più recenti, in Italia l’1,3% degli adolescenti tra i 15 e i 19 anni ha già fatto uso di ketamina almeno una volta. Le analisi delle acque reflue nelle grandi città, come Milano e Bologna, confermano un consumo crescente, soprattutto nei fine settimana e in contesti notturni. L’età media degli utilizzatori è di circa 25 anni, spesso coinvolti in policonsumo con altre sostanze come cocaina ed eroina.
La ketamina viene assunta in vari modi: sniffata in polvere, iniettata o ingerita. A basse dosi provoca euforia, empatia e distacco dalla realtà; a dosi più alte può causare sedazione, amnesia, allucinazioni e dissociazione corporea. Non mancano i rischi: tachicardia, ipertensione, danni alla vescica, e nei casi più gravi overdose e crisi psicotiche. Il suo fascino tra i giovani è legato alla promessa di un’esperienza intensa e “fuori dal corpo”, ma gli effetti collaterali – sia fisici che mentali – sono tutt’altro che trascurabili. L’Organizzazione Mondiale della Sanità continua a riconoscerne l’importanza in ambito medico, ma l’abuso ne sta compromettendo la reputazione e aumentando i costi sociali. La crescente diffusione della ketamina impone una riflessione urgente su prevenzione, informazione e riduzione del danno, soprattutto nei luoghi della movida e tra le fasce più vulnerabili della popolazione.
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