Di CALOGERO PUMILIA– Il Partito democratico in Sicilia è suo e ne fa quello che vuole. Barbagallo è candidato a succedere a se stesso, senza rivali. Nessuno pare voglia competere in un match truccato e con l’arbitro di parte. Il nulla succede al nulla. Con l’avallo e il sostegno della segretaria nazionale, alla quale il partito non interessa affatto. Le interessa, eccome, la sua fazione. Alla faccia di una formazione che banalmente si ostina a definire “plurale”.
Schlein non ha dato alcun seguito ai reclami, non ha tenuto conto della violazione delle regole interne, non ha accettato alcuna mediazione. Ha respinto anche quella che si sarebbe potuta concretare con Cracolici, uno che l’aveva votata, non appartiene alla cosiddetta “area Bonaccini”, ha prestigio e storia sufficienti per provare a rianimare il partito.
La segretaria non ha voluto neppure tentare di mantenere l’unità di una formazione fragile, destrutturata, priva di apprezzabili consensi e di un ruolo politico visibile. È andata dritta senza alcuna giustificazione, apparentemente in contrasto con ogni elemento di ragione. Avrebbe dovuto essere indotta a riflettere dagli insuccessi elettorali ripetuti e dalla irrilevanza politica. E invece no. Sostiene Barbagallo fino al conseguimento del premio per il miglior perdente. Che è già in buona posizione.
Ed è quello che con lucidità lei utilizza ovunque a Palermo e a Bolzano, per cambiare radicalmente il partito che guida, farne qualcosa di personale, autocentrato, leaderistico, senza storia né radici. Postmoderno, se si vuole, con una ideologia woke, che, senza nulla togliere al suo valore e alla sua attualità, a chi scrive non pare possa definire una forza riformista, che dovrebbe cercare il consenso del cosiddetto centro che non si riconosce nella destra al governo. C’è del metodo in chi in Sicilia vuole formare in proprio e senza contrasti le liste delle prossime elezioni regionali. Perché da noi il Partito democratico è plurale davvero, nettamente diviso in due: quello di via Bentivegna e quello di Palazzo dei Normanni. Il primo ha un indirizzo e una targa e null’altro. Quella sede, e le altre se mai ancora esistano nell’Isola, non si sono mai aperte per un dibattito, un confronto, poniamo sulla sanità, sul lavoro, magari sul Palermo calcio. Nessuna indicazione, nessuna proposta, nessuna protesta è mai nata in quei luoghi negli anni della gestione di Barbagallo. Il secondo partito sta in Assemblea, a far presenza e numero, con scarso protagonismo e ancor meno come alternativa alle forze di governo. Forse sarebbe stato possibile un rimedio. Si sarebbe potuto trovare una guida del Partito non necessariamente vocata all’insuccesso e all’irrilevanza ma con la voglia di costruire l’opposizione, di far sapere ai siciliani che può esistere un modo per andare oltre la inconcludente, rissosa e pur stabile maggioranza che governa la Regione. Dove litigano, si dividono, arrivano agli insulti, scelgono chi ogni giorno deve coprire il ruolo di opposizione lasciato libero dal Partito democratico e dai 5 Stelle da tempo non pervenuti. Eppure, restano uniti. Per gestire quel poco che resta nella disponibilità dei nostri governanti e per spartirsi il potere. Alla fine, se a Schlein non interessa nulla del Partito democratico, perché dovrebbe interessare chi scrive? Anni fa ho pensato di starci per mettere insieme la tradizione e i valori dei cattolici democratici con quelli dei postcomunisti. Come tanti, sapevo quanto difficile sarebbe stato quel processo. Eppure, ho continuato a crederci. Se poi oggi il riformismo non trova più posto nel partito di Schlein, c’è davvero da chiedersi perché attardarsi in un tentativo ieri ostacolato dai “caicchi” con le loro ambizioni, oggi forse definitivamente accantonato per far posto ad un oggetto misterioso che, a chi scrive, appare estraneo se non altro perché incomprensibile. Lunga vita a Barbagallo, a Schifani e alla sua maggioranza di destra.
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