CARNEVALE DI SCIACCA…”COSI’ E’ STATO AMORE”

Riceviamo una lettera da parte di una nostra lettrice siciliana. Una lettera densa di emozione che ha la sorgente nell’unicità del clima che fa vivere il carnevale di Sciacca.

Finalmente arriva il momento in cui tutto è possibile. Arriva a febbraio, tra cocci di neve e spicchi di mandorli in fiore. Quando il freddo è freddo davvero, con l’aria che buca la pelle ed il gelo che si attacca addosso. Noi il carnevale lo aspettiamo da giorni, anni, da quando alle maschere che non conosci hai iniziato a sorridere e tutto ti è sembrato più facile. Quando ti sei buttata nella mischia di coriandoli impazziti ed hai ballato anche tu sotto il cielo nero di una città in festa, senza capirci più nulla.

Ed è così che è stato amore. Amore verso la città sicula che ti accoglie, amore per i colori, per i sorrisi, per le musiche, le danze, amore addirittura per la confusione, per la mischia, per la folla, amore che ti trascina, che non ti fa capire nulla, amore che va oltre tutto quello che non ti aspetti e coglie l’essenza esatta delle cose quando ti riscopri a sorridere senza alcun perché. Quando riassapori l’allegria che ti fa sentire stupido, quella che parte dal fondo dello stomaco e trascina via tutto, e la realtà cambia e i colori sono più colori e il bello è più bello e tutto è finalmente senza più nessun perché. Perché, improvvisamente, ciò che conta è il sorriso, questa curva quasi dimenticata dell’universo.

Sorridere davanti al grigiore che sveglia Palermo la mattina che dobbiamo partire è dura. Siamo quattro ragazze e una 500 bianca posteggiata male ci aspetta. Facciamo tardi già dall’ inizio, perdiamo tempo con troppi caffè, troppi bagagli, troppa spesa. Saliamo a casa e mangiamo un panino. All’ingresso vedo lo zaino di un ragazzo che deve trasferirsi da Palermo a Bologna. Lui porta con sè solo una sacca ed un paio di infradito, noi due trolley e una montagna infinita di sacchetti pieni di roba da mangiare e da bere. Lui cambia città, noi partiamo solo una notte. L’orario previsto per l’arrivo diventa l’orario di partenza e, per una volta, davvero, non fa nulla.

La strada è lunga ed a tratti ricorda paesaggi toscani. Ci sono abitazioni deserte e viali con cipressi che viene voglia di fermarsi e restare. Ci sono casolari abbandonati, colline accarezzate dal sole e lunghe corsie senza limiti di velocità. Mi manca la moto e la canzone di Carboni che invoca il mare mi azzanna la malinconia. Abbiamo prenotato una notte in una villa a Porto Palo, proprio vicino Sciacca. Dopo Menfi, a pochi chilometri dall’ arrivo, notiamo una villa al centro di una collinetta rialzata ed è subito trionfo. Pensiamo che siamo arrivati, pensiamo di aver trovato il posto giusto, il lusso a portata di click a basso costo. Immaginiamo di ubriacarci in questa villetta strepitosa e di mandare a fanculo tutto il resto. Ma il navigatore ci dice di andare avanti. La nostra villa proprio una villa non è. È una casetta di campagna con il giardino ma senza fiori, soggiorno con divano e senza condizionatore, due camere da letto, una con un letto matrimoniale e l’altra con due lettini separati e asimmetrici. C’è una stufa che funziona e nell’imbarazzo generale facciamo l’unica cosa possibile: apriamo il vino.

Dopo un po’ la casa è già più accogliente, io mi sono tolta la felpa e un gioco che non sappiamo fare ci fa bere quanto basta. Ci dilunghiamo in discorsi ambigui, con strascichi di passato su un presente diverso e penso che tutto ciò abbia poco senso. L’unica cosa che ha senso è questo presente e allora basta, andiamo via, andiamo a Sciacca che è di nuovo tardi.

In macchina partono canzoni come inni nazionali, Mannarino canta le nostre stesse esistenze. Beviamo a noi stesse, a questo sabato sera che scola via sotto un cielo stellato che quasi abbaglia. Beviamo a quello che ancora non abbiamo, alle speranze più forti della rassegnazione, ai sogni che vincono gli anni e restano ancora lì, al vino che solo lui ci può salvare. Le parole di Mannarino ci entrano nelle viscere e noi le urliamo al cielo insieme alla nostra illusione tradita.

Un posto di blocco spegne tutta la baldoria, se ci fermano è un casino. Cerchiamo soluzioni improvvise, possibili deviazioni stradali. Ma la strada per Sciacca ci obbliga a passare lì davanti. La sorte ci assiste perché in quel momento i carabinieri sono impegnati con un’altra macchina e noi riusciamo a passare senza problemi. Che è la serata giusta si capisce da lì. A Sciacca ci meravigliamo di trovare immediatamente posteggio. Ci rendiamo conto molto dopo che abbiamo attraversato mezza città per arrivare in centro.

Dopo la prima curva è subito festa. I carri sono immensi e pieni di colori, ci buttiamo nella mischia con l’euforia di un bambino al luna park. La folla è davvero un fiume in piena, ti trascina e ti obbliga a seguire il suo percorso. Ai balconi la gente saluta e tutti hanno addosso un travestimento, seppur piccolo. I bambini sono vestiti a puntino, gli adulti indossano una maschera o un cappello. Quando riusciamo ad entrare nelle mura del centro siamo piene di vino e coriandoli, con una fame che divora tutto. Ci fermiamo in mille bancarelle del centro che propongono tutte lo stesso menù: panino con la salsiccia. Ma ovunque c’è troppa fila e noi non vogliamo aspettare.

Andiamo avanti, sempre avanti e con la speranza di trovare il posto giusto attraversiamo vicoli e strade in festa, piene di gente, di coriandoli, di musiche allegoriche. Dopo mezz’ora siamo dall’altra parte della città e non possiamo più aspettare. Facciamo la fila e divoriamo due panini a testa. Non siamo sazi ma quantomeno pronti per ricominciare. Riscendiamo verso le mura alla ricerca dei carri che stanno sfilando dalla parte esterna della città. Tutte le strade sono invase da persone che cantano e ballano, i locali sono tutti aperti e trasmettono in continuazione le musiche dei carri. Tutti sorridono e davvero il vino fa miracoli. La sfilata con i carri, sette in tutto, è un fiume immenso di gente.

Famiglie, ragazzi, bambini tutti accartocciati; il vicolo in cui ci fermiamo è adiacente ad una casa con la scala fuori e un bel piazzale davanti. È un locale ed è strapieno. Ballano dentro e ballano fuori. Tutti ballano ovunque ed è la stessa città a farsi locale. Abbasso gli occhi e vedo un garage con un cartello che dice festa privata, ma capisco che può entrare chiunque. La gente si sorride, sono tutti felici, aggrappati ai pilastri, ai muri, alle case, sui lampioni della luce. I carri camminano lentamente e trionfano nell’accoglienza generale. Ci immettiamo nel fiume di folla ma rischiamo di essere travolte. Allora ci fermiamo alle macchine dei giochi. Spariamo con il fucile, facciamo centro, sbagliamo. Tiriamo pugni al pungiball e abbiamo di nuovo fame.

In piazza una postazione di dj fa ballare tantissimi ragazzi. Balliamo pure noi, balliamo e vediamo la gente ballare, mentre i carri enormi ci passano davanti e continuano la sfilata. Balliamo per ore senza mai fermarci. Balliamo per un tempo infinito che sembra avere finalmente un senso. Il mediterraneo davanti a noi ci osserva e ci vede felici. Siamo coperti con quello che abbiamo addosso, dai vestiti di carnevale, dai travestimenti improvvisati, dai cappelli con i conigli, dai cappucci delle giraffe. E non ci importa di sporcarci, della stanchezza che ci sarà, del trucco che potrebbe sbavare, delle parole in eccesso, delle risate fuori luogo. Ce ne importa solo di questo istante che scorre nelle nostre viscere più vivo che mai.

Alle 5 torniamo a casa. Dormiamo male su letti improvvisati, scomodi, non proprio puliti, ma dormiamo il sonno della stanchezza compiuta, del tempo conquistato. L’indomani siamo un pò stralunati con addosso ancora coriandoli e echi di musiche allegoriche. Facciamo i conti di quanto abbiamo mangiato e bevuto, ci ridiamo su. Il viaggio di ritorno è accarezzato dal sole, gli occhiali proteggono le iridi ancora assonnate. Andiamo al mare di Porto Palo e respiriamo quello che ci aspetta tra qualche mese, quando la salsedine sulla pelle darà un senso a questi lunghi mesi di inverno.

Un autogrill rende giustizia a questa domenica, onorando le tradizioni tipiche siciliane. Ci sediamo e ordiniamo le lasagne, che per numero di strati facciamo fatica pure a contare. Non lasciamo nulla, divoriamo tutto. E quando la fame si prende tutto vuol dire che sei davvero felice. Insieme alle lasagne abbiamo divorato l’essenza della festa, prendendoci tutto come fosse una rivendicazione. Ogni sorriso, ogni goccia di pioggia, ogni sorso di vino, ogni nota di canzone.

Sciacca, questo piccolo centro del sud Sicilia, ogni anno ti ricorda come dovrebbe essere vissuta la vita: con tanti sorrisi, del buon vino ed un pizzico di ironia. E salsiccia, tanta salsiccia.

Annarita Tallo