AGRIGENTO- Il Cda di AICA è stato “dimissionato”. Si, in effetti quello dei componenti e del presidente è stato un atto spinto, sollecitato, dalle pressioni maturate in queste ultime settimane. AICA ha dimostrato la scelta sbagliata adottata da sindaci e consiglieri comunali al momento della fecondazione e poi del parto. Hanno partorito una società con appena 20mila euro di capitale sociale con l’aggravante di ribaltare sui bilanci comunali le passività gestionali. La politica ha consentito di affidare le redini di un servizio complesso secondo la logia della spartizione partitica. Del resto, nella nostra Sicilia non v’è un esempio di società pubblica che abbia gestito un servizio importante con risultati almeno sufficienti. Dal servizio sanitario a quello idrico, da quello dei rifiuti a quello termale, è stato un inanellare di disastri. Che l’acqua sia pubblica sia un dato di fatto è inoppugnabile. Diversa è la questione che riguarda la gestione di tale vitale bene. Nella nostra Sicilia, la gestione della cosa pubblica passa attraverso le scelte e le imposizioni della politica che sceglie nel proprio orto i personaggi “manager”. AICA è una forma giuridica che scarica le passività sui bilanci comunali e quindi sui cittadini. Le dimissioni del Cda di AICA di stamane hanno sollecitato l’onorevole Michele Catanzaro (Pd) a chiedere al governo regionale un intervento immediato, in termini economici. Cosa poco fattibile, cosa che collide con la normativa europea. Catanzaro dice che “occorre una svolta per non disperdere questo patrimonio di civiltà partecipativa”. Occorre, a nostro avviso, dare un taglio netto alla vicenda avviando le procedure di liquidazione. Lo stesso Catanzaro chiosa che “le dimissioni del Consiglio di Amministrazione dell’Azienda Idrica Comuni Agrigentini testimoniano l’inadeguatezza di una gestione conquistata a suo tempo con grandi sforzi da associazioni e movimenti su sollecitazione dell’opinione pubblica. Ora occorre una svolta per non disperdere questo patrimonio di civiltà partecipativa”. Catanzaro, inoltre, si spinge parecchio e scrive che l’azienda consortile “all’atto della costituzione è stata un modello nazionale di gestione pubblica dell’acqua”. All’atto della costituzione poiché sindaci e amministratori non comprendevano ciò che stavano creando: un carrozzone.
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