Sicilia senz’acqua: 25 anni di fallimenti certificati dalla Corte dei conti
Un sistema idrico allo sfascio: infrastrutture al collasso, enti in conflitto e soluzioni inefficaci. La Regione riconosce il disastro, ma gli interventi arrivano sempre troppo tardi.
Per un quarto di secolo la gestione dell’acqua in Sicilia non ha fatto un passo avanti. Anzi, è arretrata. La Corte dei conti, dopo un anno di istruttoria, fotografa senza attenuanti un sistema idrico «peggiorato» e incapace di garantire approvvigionamenti sicuri. Un’emergenza permanente, confermata dagli stessi uffici regionali e dagli enti coinvolti, che ammettono inefficienze strutturali e gestionali mai affrontate. Il quadro è quello di una macchina amministrativa frammentata, con competenze sovrapposte e Ato disegnati su confini amministrativi anziché idrografici. Una scelta che ha prodotto caos, ritardi e decisioni inefficaci. Persino gli allarmi dell’Autorità di bacino sono rimasti lettera morta per anni: solo nel 2024 la Giunta ha adottato gli atti necessari, troppo tardi per prevenire la crisi idrica che ha portato alla dichiarazione di emergenza. Sul fronte infrastrutturale la situazione è drammatica: dei 45 invasi dell’isola, solo 18 funzionano a pieno regime, mentre 20 sono limitati e 7 fuori uso. Risultato: la Sicilia può coprire appena il 67% del fabbisogno annuale stimato in 1,1 miliardi di metri cubi. E le soluzioni? Anche qui, ombre. I dissalatori voluti dalla Regione, secondo la Corte, produrranno a regime appena l’1,28% dell’acqua necessaria, a fronte di oltre 100 milioni di investimento e 32 milioni l’anno di gestione. Un rapporto costi-benefici giudicato «diseconomico», che rischia di trasformare l’ennesimo intervento in un nuovo buco nell’acqua.





