Lo stemma del Milan come codice mafioso: la chat smascherata dagli inquirenti

Un semplice scudetto rossonero trasformato in simbolo di appartenenza mafiosa. È quanto hanno ricostruito i carabinieri nell’inchiesta che giovedì ha portato agli arresti di diversi esponenti dei cursoti milanesi, gruppo criminale legato alla mafia catanese.

Gli indagati si muovevano all’interno di una chat riservata, ribattezzata “dei milanesi” del parco giochi di San Giorgio a Catania. Non un gruppo di tifosi, ma un circuito chiuso, accessibile solo a chi era riconosciuto come parte del clan. Lì circolavano foto, commenti e simboli che, secondo il gip, rappresentavano un vero e proprio codice interno. La distinzione era netta: tifosi del Milan da una parte, “milanesi” dall’altra. Un commento di Seby Torrisi su una foto di Filippo Pellegrino – figlio di Antonio Gianluca e nipote del boss Gaetano Pellegrino – è stato interpretato come prova di questa differenza. «Loro possono essere milanisti», scriveva Torrisi, sottolineando che chi apparteneva a clan rivali poteva tifare Milan, ma non fregiarsi del titolo di “milanese”.

Adesivi e casacche come marchio

Lo stemma rossonero diventava adesivo da attaccare su auto e moto, o compariva sugli indumenti. Alessandro Caffarelli, ritenuto gestore della piazza di spaccio di Misterbianco, caricava nella chat immagini di veicoli con lo scudetto del Milan. L’entusiasmo era palpabile: «Ormai con questi adesivi stiamo volando», scriveva Orazio Santagati. Ma lo stesso Caffarelli invitava alla prudenza: «A poi al giudice che gli dicono: che tifano Milan?».

La simbologia come prova

Per gli investigatori, proprio questa frase è stata una sorta di ammissione: dietro l’apparente passione calcistica si celava un linguaggio mafioso, un marchio di riconoscimento. Una premonizione, visto che due giorni fa gli arresti hanno confermato la ricostruzione degli inquirenti.