Il Sindaco ed i musicanti di Brema. Vennero per suonare e furono suonati

SCIACCA- Abbiamo preso a prestito il titolo della bella favola dei Fratelli Grimm perché evidenzia una singolare quanto incredibile analogia tra la favola stessa e quello che ormai l’attuale Amministrazione comunale ed il suo leader rappresentano rispetto alla proposta che per una manciata di voti (sicuramente connessa al voto disgiunto di alcune liste del centrodestra) li ha portati al governo della Città, con anni di roboanti proposte di novità, freschezza, giovanilismo, efficienza, pulizia ed altre corbellerie della stessa specie. Alla luce dei fatti ed in buona sostanza – ecco l’assonanza – come i Musicanti di Brema i Nostri vennero per suonare ed a quasi quattro anni da quella risicata vittoria si può ben dire ormai che se ne tornarono suonati. Proseguendo nello stile musicale bisogna riconoscere che lo stonatissimo concerto al quale l’altro ieri sera si è assistito in Consiglio Comunale ha veramente dell’incredibile e rappresenta una cosa che mai si era vista nell’Aula consiliare. Questo si è può definirsi “storico”. Una provvida febbre ha consentito al Sindaco, che certamente conosceva quello che sarebbe accaduto nel corso della seduta, di non dover rispondere al Consiglio Comunale dell’abbandono dei suoi assessori e consiglieri, della guerra civile che da tempo si combatte nella ex maggioranza che con quell’incredibile documento politico di sfiducia ha sancito la fine della sua disastrosa esperienza, della serietà, dignità ed onore che in ogni momento dovrebbero accompagnare coloro che ricoprono cariche pubbliche così rilevanti.
Il Sindaco conosceva tutto, ed è grave che non abbia difeso sé stesso ed il suo progetto politico, prima, durante e dopo la seduta. Ma se per caso non ne era al corrente l’ipotesi è ancora più grave, perché denota la sua insipienza politica e l’incapacità di tenere insieme una coalizione ormai liquefatta. Certo avrebbe dovuto subito spiegare, chiarire, esporre, difendere sé stesso dalle accuse dei suoi sodali, spiegando alla Città che cosa sarebbe successo da oggi in poi. Per tornare all’evento incredibile, ieri sera Valeria Gulotta, Simone Di Paola, Alessandro Curreri, Giuseppe Ruffo, Gabriele Modica, Giuseppe Ambrogio e Daniela Campione (tranne Fabio Leonte, e i fedelissimi del sindaco, Agnese Sinagra, Salvino Patti e Francesco Dimino) hanno presentato un documento politico denunciando come “all’interno della coalizione di governo, nel percorso guidato dal primo cittadino, si stia registrando una situazione di grande incertezza politica, dovuta principalmente alla mancanza di chiarezza, alla mancanza di condivisione ed al mancato coinvolgimento di tutte le figure che in consiglio comunale o in Giunta devono sentirsi nuovamente protagonisti”.
Senza bisogno di fare l’analisi logica o del periodo quell’affermazione significa che il Sindaco si muove da solo, non si confronta, non usa condividere programmi, scelte, decisioni, con coloro che dall’inizio dell’avventura lo hanno sostenuto, ormai in verità assai pochi, anche contro ogni ragionevole dubbio sulla bontà di questo sostegno. Ma si sa quando si diventa Sindaco ci si inebria, come se il mandato popolare rappresenti una sorta di sacra unzione, per cui si governa (o meglio regna) per Grazia di Dio e volontà della Nazione, immaginando di non essere in alcun modo vincolato alle regole della politica. Ma questa è una malattia endemica per i sindaci ed in genere per tutti gli organi monocratici di governo. Ma a proposito di serietà, dignità ed onore non si può tacere neppure della figura barbina che gli assessori ed i consiglieri denuncianti hanno fatto con quel documento e con l’abbandono dell’Aula.
Il buon senso ed il decoro per la loro funzione avrebbero dovuto avere come logica conseguenza le dimissioni dei primi e la dichiarazione della fine del sostegno consiliare per i secondi; niente di tutto questo. La tragedia (o farsa) che si è consumata è molto più miseramente e penosamente connessa ad una urgenza “di potere” di chi fino a ieri obbediva sia pure tra mille arrabbiature, suppliche, appelli sulla scorta di promesse, patti, giuramenti, e che ieri sera ha gettato la maschera ed ha fatto capire all’intero Paese quale fosse la vera sostanza delle cose.
Non può sfuggire un dato statistico certo: Quando la sinistra (oggi dire centrosinistra è errato poiché nella coalizione Termine di centro c’è niente ed è tutta marcatamente di sinistra) governa la città, puntualmente esprime il suo Dna litigioso. Così fu con Vito Bono, così fu con Francesca Valenti. Così è con Fabio Termine. Con Vito Bono si interruppe la sindacatura dopo due anni e mezzo. Con Francesca Valenti si azzerò la giunta in modo traumatico. Poi due anni di Covid e lo scioglimento del Consiglio comunale calarono un velo gestionale. Venne Fabio Termine, l’uomo del “E’ già domani”. Ma presto la realtà dimostrò che l’alba del domani non è mai sorta. Fabio Termine, dal suo comodo seggio di oppositore, tuonò corna e peste contro l’allora sindaco Francesca Valenti dichiarando come un disco incantato il fallimento del suo progetto. Poi, fece l’accordo con il Pd, diventato d’un tratto buono, e nacque la sua candidatura a sindaco. L’attuale sindaco nell’arco di poco tempo ha perso i consiglieri comunali del suo movimento, ha ridotto quasi all’inesistenza Mizzica, ha attirato l’insoddisfazione dei suoi alleati. Un gran da fare. Ed è qui che il documento politico consegnato ieri sera al Consiglio comunale, con la conseguente uscita dall’aula consiliare dei firmatari, assume una valenza enorme e di rilievo politico. Non è stato firmato solo da consiglieri comunale e assessori del Pd. No, hanno firmato anche Alessandro Curreri del M5S e dell’ex mizzichina Daniela Campione, approdata poi in Avs. Dunque, non più una fibrillazione di una parte della coalizione, ma una critica e un malumore corale. Nella giunta Termine ci sono tre assessori provenienti da Mizzica, movimento che in Consiglio comunale non ha un seggio. Avs, con Daniela Campione ha un seggio ma nessuna rappresentanza in giunta. Rimane irrisolta la diatriba di Termine contro il deputato e capogruppo Pd all’Ars, Michele Catanzaro. Una diatriba che viene puntellata lo scorso 31 dicembre quando Termine e il suo gruppo, in gran segreto, aderisce e si tessera al Pd, l’ultimo giorno utile, approdando nella corrente opposta a quella di Catanzaro. Nessuno può dimenticare le invettive a mezzo video di Mizzica nei confronti del Pd, nessuno può dimenticare che senza l’apporto del Pd Fabio Termine non sarebbe sindaco. Elezione aiutata anche da una superficiale campagna elettorale della coalizione Messina e da una buona dose di fortuna a favore del sindaco che andò al ballottaggio solo perché mancarono una manciata di voti affinché Messina raggiungesse il quorum del 40%.
E la numerosa opposizione? Questo evento segna un punto di non ritorno anche per essa. Oggi come mai l’unico gesto politico dignitoso sarebbe l’annuncio dell’imminente mozione di sfiducia. Ma vedrete che non succederà niente perché molti di loro sono strettamente abbarbicati alle loro sedie con parecchi problemi di consenso nell’ipotesi di nuove elezioni, e per qualcuno la sedia è addirittura doppia considerando quella provinciale. Quindi? Niente tutto continuerà come prima, perché come diceva qualcuno governare gli sciacchitani non è difficile, è inutile!