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Intervista a Nenè Mangiacavallo: nuova ondata Covid, riflessi sociali, e l’ospedale Covid di Ribera che Covid non è

RIBERA. Un’intervista allo pneumologo Nenè Mangiacavallo per fare il punto della situazione attuale sulla seconda ondata. Ma non solo, affrontiamo temi diversi che toccano si la sanità, ma anche gli aspetti sociali. Non può mancare, nella nostra conversazione, il tema caldo dell’ospedale di Ribera, decretato struttura Covid dalla Regione ma che ancora non lo è, nonostante i mesi passati e la seconda ondata sviluppatasi nella sua virulenza. Lo pneumologo riberese Nenè Mangiacavallo, di recente nominato alla presidenza del Consorzio Universitario di Agrigento, ha un curriculum di tutto rispetto che va oltre all’esperienza professionale. Ha ricoperto ruoli importanti nel settore della sanità, è stato commissario straordinario dell’ospedale di Cefalù, sottosegretario alla Sanità con il Governo di Lamberto Dini, presidente della Società italiana contro le malattie polmonari.

Dottore Mangiacavallo, lei ha seguito fin dall’inizio la questione Covid.  Qual’ è la sua opinione sulla situazione attuale ?

Non esito a definirla estremamente delicata e, senza ipocrisia,  anche preoccupante. A differenza della prima ondata, durante la quale il sentimento dominante era quello della paura e della piena consapevolezza del pericolo incombente, oggi il sentimento prevalente è quello della “minimizzazione” che, se da un lato, dovrebbe permettere di affrontare con animo disteso le rilevanti difficoltà emergenziali, dall’altro rischia di fare commettere errori di omissione, nonché di abbassare la soglia di responsabilità dei cittadini. La situazione è delicata e preoccupante su due fronti: quello sanitario e quello, non meno rilevante, sociale.

Parliamo del fronte sanitario

Bisogna dire chiaramente che l’espansione del contagio ha raggiunto livelli notevolmente superiori a quelli della prima ondata.  Ogni giorno si batte un nuovo record di positivi, le rianimazioni si avvicinano al limite ed, al più presto, potrebbero non esserci più posti letto disponibili da destinare non solo ai pazienti Covid  ma anche a quei pazienti, tanti, che pur non essendo Covid e soffrendo di altre importanti patologie, necessitano, a volte per sopravvivere, del ricovero ospedaliero. E agli autorevoli “minimizzanti” che volessero attenuare il livello sempre più crescente di preoccupazione con l’ormai noioso confronto con altri Stati Europei o Americani, rispondo che non abbiamo bisogno né di paragoni consolatori né di elencazione di esempi negativi d’oltralpe. Che in Francia, in Inghilterra o negli Stati Uniti la situazione sia peggiore della nostra non può che dispiacermi, ma è innegabile che, se gli italiani positivi ogni giorno dovessero mantenersi intorno a ventimila, ed il numero dei ricoveri aumentare quotidianamente, l’assistenza sanitaria in Italia rischia il collasso; gli ospedali, COVID e non, potrebbero non ricoverare, le aree di emergenza non riuscirebbero nemmeno a fare entrare i malati.

E sul fronte sociale?

La situazione non è meno preoccupante perché, indipendentemente dalla protesta di Napoli sfociata in azioni criminali, registriamo obiettivamente che le disuguaglianze già esistenti in era preCOVID si sono pesantemente acuite, dividendo gli Italiani, come scrive Mentana, in due grandi categorie: quella dei “garantiti” e quella degli “scoperti o non assicurati”. I primi, sia pur partecipi del disagio derivante dalle restrizioni e dal rischio di contagio, hanno la certezza dello stipendio mensile garantito.  Che ci sia il coprifuoco o la chiusura dei ristoranti e degli altri esercizi commerciali, i Garantiti continueranno la loro gestione economica perché a fine mese percepiranno il salario e, possibilmente, programmare gli investimenti futuri. Gli Scoperti, espressione del mondo delle imprese, del commercio, dell’artigianato, del settore turistico-alberghiero, delle partite IVA ed i tanti, giovani e meno giovani, che sono in attesa di occupazione, hanno mille ragioni per temere una seconda chiusura che, se non intelligentemente gestita dai Responsabili Istituzionali, potrebbe risultare definitiva per un elevato numero di Italiani che, non solo piomberebbero in una pesante povertà, ma non potrebbero nemmeno assicurarsi il cibo per il giorno dopo.

La situazione attuale presenta differenze con la primavera scorsa ?

Certamente! Almeno sul fronte sanitario, perché nella prima ondata il virus ci aveva colpito alle spalle, improvvisamente ed inaspettatamente; inizialmente non si sapeva niente di questa variante della famiglia dei coronavirus, eravamo completamente impreparati sul fronte diagnostico e, purtroppo, anche su quello della terapia. Per più di un mese moltissimi pazienti Covid hanno avuto un solo destino: approdare, quando possibile, al pronto soccorso, essere trasferiti, se c’era posto, in rianimazione e da lì, molto spesso, trapassare. Non si conosceva ancora la fisiopatologia del morbo, si barcollava nel buio alla ricerca di farmaci che potessero risultare efficaci, e non si poteva fare altro che prendere atto della spaventosa aggressività del virus. Successivamente, il lavoro di molti scienziati, di numerosissimi medici, di attenti ricercatori ha permesso di individuare alcuni efficaci schemi terapeutici che hanno cambiato il funesto decorso della malattia ed oggi, grazie a loro, possiamo affrontare la malattia più razionalmente e più adeguatamente. Molti pazienti che qualche mese fa sarebbero inesorabilmente deceduti, oggi possono essere curati a domicilio con buone possibilità di guarigione. Ma, attenzione.   Questo non significa che il problema dell’assistenza e della cura è definitivamente risolto, perché l’elevato numero di contagi pone sempre il problema di quella percentuale di pazienti che non può essere curata  a casa e che necessita comunque di un ricovero ospedaliero. E, qualora ce ne fosse bisogno, ripeto ancora che ci avviciniamo alla piena occupazione di tutti i posti letto ospedalieri!

Ma le Istituzioni nel frattempo si sono adoperate.  Ad esempio,  hanno creato nuove Unità di rianimazione.

Prima d’ogni cosa vale la pena ricordare ancora una volta che la soluzione del problema non consiste nella realizzazione anche di 100.000 posti di terapia intensiva! La soluzione è, principalmente e prioritariamente, la revenzione di nuovi contagi, anche tramite la drastica applicazione di efficaci, e non effimere, misure di contenimento.  Questo dipende non solo dalla capacità delle Istituzioni ma anche dalla responsabilità dei cittadini.  Altra soluzione, in verità, è la produzione in larga scala di un vaccino specifico, ma questo dipende solo dalla scienza.

Andiamo alla situazione locale. Lei è di Ribera, dove esiste un ospedale Covid. A che punto siamo?

Preciso preliminarmente che, almeno in atto, a Ribera c’è solo un ospedale per degenze ordinarie, dal momento che non c’è ancora niente che caratterizzi una struttura destinata a pazienti Covid. Pare che in questi giorni inizieranno i lavori per farlo diventare ospedale Covid.  Ma ripeto, ad oggi, di Covid c’è solo un decreto e tante dichiarazioni d’impegno.

Qual è la sua opinione al riguardo ?

Mi astengo da qualsiasi valutazione sul recente passato, ma manifesto vigorosamente e senza alcun indugio , preoccupazioni pressanti circa la reale e concreta possibilità di potere continuare ad assicurare una doverosa assistenza sanitaria ad un bacino di utenza no Covid che va oltre i confini riberesi. Ritengo giusto che venga dato, e subito, seguito ad un Decreto Assessoriale per  realizzare a Ribera una struttura Covid!  Detto questo avverto il dovere di chiedermi e, principalmente di chiedere a chi ha responsabilità gestionali e politiche: dal momento che alcune strutture assistenziali destinate a pazienti Covid sono attigue (nello stesso piano e nello stesso corridoio) alla Unità di Riabilitazione Neurologica (Maugeri) che ha trenta ricoverati, non essendo possibile la coesistenza delle due Unità di cura, che fine farà la Riabilitazione Neurologica? Se qualcuno ipotizzasse, con superficialità ed estemporaneità, un trasferimento della Maugeri, dimostrerebbe che, oltre a non essere interessato al futuro dell’ospedale di Ribera, non considererebbe i costi economici e di tempo che tale trasferimento richiederebbe. Mi convincerebbe, invece, l’eventuale spostamento della Riabilitazione in un altro piano dell’ospedale di Ribera, cosa che potrebbe avvenire con un impegno minimo, sia economico che di tempo.

La realizzazione di 10 posti di terapia intensiva, 10 di subintensiva e 40 di degenza destinati a pazienti Covid, secondo lei, è compatibile  con il mantenimento delle Unità Operative di Medicina e di Chirurgia, attualmente operanti ed indispensabili presso l’Ospedale di Ribera? Ed è compatibile anche con l’annunciata istituzione di un reparto di Malattie Infettive all’ospedale di Ribera?

Se le presunte e non ancora confermate  compatibilità fossero, non con semplici e gratuite promesse, ma con concreti e formali impegni deliberativi, assicurate, non posso che auspicare l’immediata attivazione della struttura Covid a Ribera, con la netta e doverosa separazione della operatività assistenziale tra Covid  e no Cocid. Se questo non dovesse avvenire, il rimedio risulterebbe, inevitabilmente, peggiore del male. Oltre ai problemi emergenziali di oggi, domani si aggiungerebbero problemi esistenziali che porterebbero ad un solo negativo e scongiurabile risultato: finita l’emergenza Covid (cosa che avverrà), l’Ospedale di Ribera verrebbe chiuso. Ritengo opportuno e doveroso rappresentare questi dubbi e queste  reoccupazioni. Essendo fiducioso nei Responsabili Istituzionali e Politici, spero che andrà tutto bene!

Filippo Cardinale

 

 

 

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