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Nell’agrigentino la politica è affannosa ricerca di un carretto che porti al traguardo

PROVINCIA DI AGRIGENTO-  Di CALOGERO PUMILIA

Vengono dal suq della politica due vicende che, insieme a tante altre, alla politica somigliano come una patacca che a malapena segna le ore ad un Rolex. Vengono dalla provincia di Agrigento ed entrambi sono episodi di costume che nascono e si consumano sulla spinta di interessi e di ambizioni personali.

Alcuni giorni addietro il segretario e tutti i componenti del direttivo provinciale della Lega hanno lasciato quel partito delusi, hanno dichiarato, dall’ambiguità del suo leader, in particolare sulla questione dei vaccini. Erano transitati lì pochi mesi addietro, quando una parte del ceto politico siciliano scoprì di avere avuto sempre nel cuore Alberto da Giussano e Forza Etna. Quell’antica, nascosta fede era affiorata sulla spinta dei sondaggi e per la convinzione che il carro condotto dal “comandante” fosse trionfalmente avviato alla vittoria. Saltiamo su che ci può essere qualcosa anche per noi. Il risultato delle elezioni amministrative e il calo dei sondaggi instillarono il dubbio sulla utilità della scelta nelle adamantine coscienze di quegli idealisti, inducendoli a scendere per tempo, in attesa di capire bene, questa volta riflettendo meglio, su quale nuovo carro saltare.

Un modesto episodio di costume, dicevamo, ed anche una prova della bulimia, della smoderatezza di Salvini che ha immaginato di espugnare la Sicilia calando la pedana di quel carro per farvi salire tutti coloro che erano in cerca di spazio e di potere, senza tener conto che i neofiti potessero confliggere con quelli che, da qualche anno, avevano contratto la sindrome di Stoccolma.

Dalla stessa provincia di Agrigento arriva l’altro episodio che con la politica ha la stessa affinità della crosta di un imbrattatele con un’opera di Picasso. Un ex senatore ha convocato i suoi amici di Sciacca e dei paesi limitrofi per informarli di avere aderito a Forza Italia. Anche qui, nulla di strano né di originale – i transiti da un partito all’altro sono più frequenti delle piogge di queste settimane.

La storiella non meriterebbe nessun commento se l’ex senatore non detenesse il record dei passaggi da un luogo all’altro. Di partiti ne ha cambiati dieci e, ad ogni giravolta, l’ultima compresa evidentemente, ha organizzato eventi pubblici per manifestare vibrante entusiasmo, trasmettere motivazioni forti e convinte da lasciar pensare che ciascuna scelta fosse quella definitiva, quella che lo appagava e all’interno della quale avrebbe potuto finalmente spendere valori, idee e progetti a vantaggio, si capisce, della comunità. Con il tempo e con le delusioni per le attese insoddisfatte, gli entusiasmi si sono di volta in volta affievoliti, le motivazioni appannate e i valori e le idee…? Beh, quelli sono fungibili. Si lucidano e si possono spacciare sempre per nuovi.

La vicenda è analoga a quella degli ex leghisti, campioni della inversione ad U compiuta nel tempo più breve. Si tratta di storie di costume che non riguardano solo gli attori principali, i beneficiari, ma coinvolgono quanti ogni volta applaudono e seguono gli Zelig della politica.

Il nostro eroe, tuttavia, è anche stato agli onori della cronaca nazionale, quando, nel lontano 1994, in dissenso con le scelte del partito nel quale era stato eletto, il suo voto risultò determinante per impedire a Giovanni Spadolini l’elezione a presidente del Senato, e lasciar passare il berlusconiano Carlo Scognamiglio, che prevalse sull’ex presidente del consiglio, studioso di valore e grande giornalista per un solo voto: quello del nostro record man.
Valeva la pena raccontare episodi di questa natura? Devo dire che mi sorprendono in certo modo, mi divertono le manifestazioni di agilità politica, che confermano quanto davvero questa società sia liquida e in essa tutto incerto e volatile.

Tutto tranne l’affannosa ricerca di un carretto che porti al traguardo, alla conquista di uno spazio di potere, di una seggiola anche sgangherata, perché, per dirla in un latino che non è certo quello di Cicerone: homo sine sedia imago mortis.

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