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MAFIA NEBRODI, IL NOTAIO AGRIGENTINO: “COSI’ HO GUADAGNATO 1 MLN DI EURO”

Dall’imponente operazione antimafia che ha decapitato il clan mafioso dei Nebrodi, emergono dettagli che riguardano non solo i mafiosi ma anche professionisti, come il 73enne notaio di Canicattì Antonio Pecoraro. “A me mille atti di usucapione mi hanno fatto guadagnare un milione di euro”. Questo ha detto il professionista al figlio nel corso di un a conversazione intercettata dagli inquirenti il 4 ottobre 2016.

Il notaio è ora ai domiciliari a seguito dell’Operazione Nebrodi che mercoledì ha portato a 94 arresti. E’ stato arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, e i magistrati della DDA di Messina lo descrivono come “un ingranaggio indispensabile del marchingegno per la fabbricazione di titoli che sarebbero poi serviti ai clan per truffare di fatto l’Unione Europea, ricevendo i finanziamenti”.

Per gli inquirenti, il notaio sarebbe stato al servizio del clan, in grado di “confezionare” atti di usucapione – non accertata giudizialmente – con cui venivano ceduti alcuni terreni nel Messinese a terze persone senza che i reali proprietari lo sapessero, per essere utilizzati nelle richieste di finanziamento europeo.

Otto proprietari hanno dichiarato di essere venuti a conoscenza della perdita del terreno tramite l’Agenzia delle entrate. Le denunce dei proprietari terrieri – tra il 2015 ed il 2016 – hanno cominciato a causare problemi al sistema messo su dai clan di Tortorici per lucrare i contributi europei. I finanzieri di Canicattì e Messina hanno deciso infatti di sentire i dipendenti e il notaio stesso, scoprendo il meccanismo delle false usucapioni e donazioni, che avrebbe fruttato ai clan mafiosi dei Nebrodi un giro d’affari enorme, oltre dieci milioni di euro sommando tutti i sistemi adottati per venire in possesso delle aree agricole.

“Una mafia dei pascoli ultra moderna – si legge nell’ordinanza del gip di Messina Salvatore Mastroeni – con un controllo del territorio capillare, che punta sempre di più alla terra perché, in base alla quantità di possesso, arrivano finanziamenti. Erano tanti anche i terreni della Regione e di svariati Comuni usati dai mafiosi per le truffe”.

Il clan si avvaleva della connivenza dei Centri assistenza agricola che passavano le informazioni sulle particelle non utilizzate ai fini di inserirle nelle domande per i finanziamenti europei. In buona sostanza, i funzionari controllavano su quali aree non erano mai stati chiesti contributi e passavano le segnalazioni alle cosche.

La “mafia dei pascoli” è stata contrastata dall’allora presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, che fu oggetto di un attentato. I clan si avvalevano anche dei “colletti biancji”, come il notaio ed il sindaco di Tortorici, Emanuele Galati Sardo (pure lui ai domiciliari), nella qualità di funzionario di un centro assistenza agricola.

Katia Crascì, di Tortorici, 40 anni (tra i 48 finiti in carcere nell’operazione), aveva chiesto contributi per i suoi terreni all’Unione Europea, incurante del fatto che tra essi figurassero anche quelli in gestione alla Nato e alla Marina americana, dove sorge il sistema del Muos di Niscemi, la maxi antenna di comunicazione satellitare americana. Ma anche altri, come quello in cui sorge l’aeroporto di Boccadifalco, a Palermo.

 

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