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MAFIA, ARRESTATO FRATELLO DELLA VEDOVA SCHIFANI

Tra gli arrestati dalla Dia di Palermo nell'inchiesta che ha portato in carcere il boss Gaetano Scotto c'è anche Giuseppe Costa fratello di Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uno dei tre poliziotti morti nella strage di Capaci col magistrato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, 18 febbraio 2020. Costa avrebbe riscosso il pizzo per il clan dell'Arenella. ANSA/IGOR PETYX

C’è anche Giuseppe Costa, 53 anni, fratello di Rosaria, la vedova di Vito Schifani, uno dei tre poliziotti morti nella strage di Capaci col magistrato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, il 23 maggio 1992, tra gli arrestati della Dia di Palermo nell’inchiesta che ha portato in carcere il boss Gaetano Scotto.

Giuseppe Costa è accusato di associazione mafiosa: sarebbe affiliato alla famiglia di Vergine Maria. Per conto della cosca avrebbe tenuto la cassa, gestito le estorsioni, “convinto” con minacce le vittime – imprenditori e commercianti – a pagare la “tassa” mafiosa, assicurato alle famiglie dei mafiosi detenuti il sostentamento. Ristoranti, negozi, concessionarie di auto, imprese: nel quartiere pagavano tutti e Costa sarebbe stato tra i collettori del pizzo.

Gli inquirenti lo descrivono come pienamente inserito nelle dinamiche mafiose della “famiglia”, tanto che, alla scarcerazione del boss della zona, Gaetano Scotto, per rispetto al padrino invita le sue vittime a dare il denaro direttamente a lui.

L’indagine fotografa anche il ruolo di vertice che Scotto aveva riconquistato nel clan. Già accusato di mafia, il boss è ora parte civile nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Accusato ingiustamente da falsi pentiti fu condannato all’ergastolo e poi scarcerato. Oggi siede come vittima davanti ai tre poliziotti accusati di aver depistato l’indagine. Nel blitz di oggi è stato coinvolto anche il fratello Pietro, tecnico di una società di telefonia, anche lui accusato nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino. Per la polizia aveva captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio davanti alla quale fu piazzata l’autobomba. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello.

“Sono devastata per tutto questo, ma la mafia non mi fermerà”, dice Rosaria Costa, e non ha parole per definire il suo dolore. “È come se fosse morto ieri purtroppo”, dice a Repubblica. Non lo nomina neanche il fratello che adesso è rinchiuso nel carcere palermitano di Pagliarelli con l’accusa di essere stato “un mafioso riservato” al servizio della cosca mafiosa dell’Arenella, quella guidata da uno scarcerato eccellente, Gaetano Scotto, il boss ritenuto dai magistrati trait d’union fra mafia e ambienti deviati delle istituzioni.
Rosaria Costa vive ormai da anni lontano dalla Sicilia, ma continua senza sosta il suo impegno per la legalità. E le parole pronunciate il giorno del funerale del marito e delle altre vittime della strage di Capaci (“Io vi perdono, ma voi dovete inginocchiarvi”) sono ancora un simbolo di ribellione, un percorso di riscatto.

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