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MAFIA AGRIGENTINA ALLA RICERCA DI NUOVI EQUILIBRI

Si teme una nuova guerra tra cosche per stabilire la leadership

La mafia agrigentina è in cerca di nuovi equilibri e per questo si teme che possa avviarsi una vera e propria guerra tra cosche per stabilire la leadership. È quanto emerge dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, relativa al periodo gennaio-giugno 2014, consegnata al Ministro dell’Interno Angelino Alfano. I colpi inferti dalle operazioni di polizia degli ultimi anni, inducono le famiglie mafiose dell’Agrigentino a preoccuparsi della ricomposizione degli schieramenti, che si contendono gli interessi criminali della provincia, riferendosi sistematicamente ai più autorevoli capi detenuti.

La relazione disegna una organizzazione “tuttora alla ricerca di nuovi equilibri” anche se la mancanza di un nuovo capo provincia nella pienezza dei poteri impedisce la definizione di strategie operative di vasto respiro, e fa sì che l’organizzazione sia ancora influenzata dalle direttive provenienti da “vecchi” boss ben più autorevoli degli emergenti. Tuttavia, la certezza di armi nella disponibilità dei clan, nonché alcuni fatti di sangue avvenuti dopo l’operazione antimafia “Nuova Cupola”, fanno ritenere che alcuni equilibri, già precari, possano essere saltati.

Nel semestre in esame Cosa Nostra in provincia di Agrigento, ha confermato un ruolo di rilievo nei confronti delle altre consorterie criminali gravitanti nel territorio, quali i stiddari e le residue organizzazioni riconducibili ad alcune specifiche aree territoriali, godendo di una posizione di tutto rispetto anche nell’ambito delle gerarchie mafiose della regione. L’operazione “Nuova Alba” eseguita nella cittadina romana di Ostia, ne ha dimostrato la capacità espansiva ultraterritoriale delle cosche di Siculiana e Cattolica Eraclea. Altri ambiti investigativi confermano le proiezioni nel Nord America per le connessioni con il gruppo dei Rizzuto in Canada.

La ripartizione territoriale criminale in mandamenti e famiglie è rappresentata dalle recenti indagini di carabinieri e polizia, e consentirebbero, così come riporta la relazione della Dia “di fare ritenere che, a causa della perdurante ricerca degli equilibri, generata non solo dagli arresti degli scorsi anni, ma anche dalle recenti scarcerazioni di elementi di rilievo, Cosa Nostra agrigentina sia, attualmente articolata su 7 mandamenti mafiosi”.

Un aspetto questo che rivoluzionerebbe la mappa dei territori, su cui si concentra la mano delle cosche. Da sempre i mandamenti sono stati otto (Agrigento, Giardina Gallotti, Burgio, Campobello di Licata, Sambuca di Sicilia, Cianciana, Ribera e Santa Margherita Belice).

Le indagini delle forze di polizia, non avrebbero ancora oggi, accertato chi sia il nuovo capo provinciale. Dopo l’arresto del sambucese Leo Sutera, e prima ancora la cattura dei super boss Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina, le attenzioni dei magistrati della Dda di Palermo e delle forze dell’ordine, si sarebbero concentrate su Agrigento e Villaseta, Porto Empedocle, Palma di Montechiaro e Santa Elisabetta.

I motivi sono ampiamente spiegabili perché proprio nella città capoluogo e negli altri centri sono avvenute diverse scarcerazioni di boss e “uomini d’onore”, tornati a casa dopo anni di detenzione carceraria. Nella relazione della Dia si fa il punto anche sugli attuali interessi delle organizzazioni criminali.

La mafia sarebbe ritornata ad interessarsi anche al traffico di sostanze stupefacenti, e in questo caso, sono emblematiche due operazioni antidroga della Polizia: il 22 gennaio 2014 vennero indagati 39 soggetti responsabili di spaccio di stupefacenti, il cui sodalizio si approvvigionava con regolarità a Palermo, e il 25 febbraio 2014 l’operazione “Zero in condotta” del Tribunale di Enna, che portò all’arresto di 43 componenti di organizzazione impegnata nell’approvvigionamento e spaccio di sostanze stupefacenti ad Agrigento, Caltanissetta ed Enna, in particolare la droga finiva nel comprensorio di Realmonte. Poi c’è l’acquisizione di denaro pubblico “con forte predominio territoriale esercitato attraverso un’incalzante gestione delle estorsioni”.

I clan continuano a chiedere e riscuotere il pizzo ai danni di imprenditori nei settori più diversi, quali quello degli appalti, dello smaltimento dei rifiuti, delle costruzioni edili, della fornitura di calcestruzzo e materiali inerti. I proventi delle attività illecite vengono poi investiti dalle cosche, attraverso prestanome, in attività apparentemente legali, al fine di sottrarre gli illeciti guadagni dall’azione di sequestro o confisca operata dallo Stato.

Redazione Corriere

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