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Il giudice Rosario Livatino è beato: il 29 ottobre sarà il giorno della sua festa. “Ucciso “in odium fidei'”

La reliquia. La camicia del giudice Rosario Livatino intrisa di sangue quando fu ucciso dalla mafia

AGRIGENTO. “I gruppi mafiosi ne decretarono la morte perché odiavano la sua fede”, dice il postulatore della causa di beatificazione, monsignor Vincenzo Bartolone. “Il suo martirio è un ulteriore segno dell’assoluta inconciliabilità tra Vangelo e mafia. Livatino ha onorato la magistratura, la terra di Sicilia e la Chiesa”.

Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, legge la disposizione di Papa Francesco: “Accogliendo il desiderio del cardinale di Agrigento Francesco Montenegro e di molti altri fratelli nell’episcopato e di molti fedeli concediamo che il venerabile Rosario Livatino, laico e martire che nel servizio della giustizia fu testimone credibile del Vangelo, d’ora in poi possa chiamarsi beato”.

La festa sarà celebrata ogni 29 ottobre. Un applauso ha riempito la Cattedrale di Agrigento mentre viene portata sull’altare una reliquia del nuovo beato, la sua camicia intrisa di sangue.

E’ iniziata questa mattina in cattedrale ad Agrigento la messa di beatificazione del giudice ucciso dalla mafia presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della congregazione delle Cause dei Santi. Concelebra il cardinale don Franco Montenegro.

Come prevede la liturgia, i postulatori hanno chiesto al celebrante di procedere alla beatificazione. “La chiesa di Agrigento – ha detto il cardinale Montenegro – ha umilmente chiesto al sommo Pontefice Francesco di voler iscrivere ai Beati il Servo di Dio Rosario Angelo Livatino”.

Egli, dice il postulatore dopo una breve sintesi della vita del giudice, fu “ucciso ‘in odium fidei'” perché “i gruppi mafiosi ne decretarono la morte in odio alla fede”. Il suo “martirio – continuano – è la manifestazione della insanabile inconciliabilità tra Vangelo e mafia”. “Il silenzio imposto con la violenza – prosegue – è un canto di speranza ed Egli onora con un sigillo di Santità la migistratura”. “Oggi – conclude la lettera – la terra di Sicilia e la Chiesa lo lodano risorto perché quel sangue genera nuovo seme di cristianesimo”.

Il cardinale Semeraro ha letto la lettera del papa Francesco. Nel testo, tra le altre cose si sostiene che Livatino fu “testimone credibile del Vangelo fino all’effusione del sangue”. La sua festa sarà il 29 ottobre. All’interno della Chiesa Madre è stata inoltre condotta una reliquia del novello beato: si tratta della camicia intrisa di sangue che Livatino indossava al momento dell’agguato.

Il cardinale cardinale Marcello Semeraro, nella sua omelia ha evidenziato, citando Sant’Agostino, che “il segreto della Santità è rimanere nell’amore di Cristo. La fecondità della vita cristiana è condizionata in questo rimanere. Però proprio qui, per un cristiano c’è il grave rischio di essere sì all’interno di questo abbraccio amoroso del Signore ma non portare alcun frutto”.

“Rosario Livatino – ha continuato – ha perdonato i suoi uccisori, come ha fatto Gesù. Il pianto del Giusto che non è un rimprovero, ma un invito a ripensare la propria vita”. Semeraro ha anche citato un brano di un intervento di Livatino, pronunciato il 7 aprile del 1984 su “Il ruolo del giudice nella società che cambia”.

“L’indipendenza del giudice – diceva il beato – è nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”. “Credibilità e giustizia o stanno insieme o cadono insieme – ha detto Semeraro -. Senza la giustizia la credibilità è improduttiva, e senza credibilità la giustizia diventa solo giudizio. Livatino è stato testimone della giustizia del Regno di Dio, martire per salvare vittime e carnefici dall’odio. E’ un eroe dello Stato e della legalità, ma è anche Martire di Cristo. Per lui la credibilità fu la coerenza piena e invicibile fra fede e vita. Livatino rivendicò l’unità della persona che si fa valere in ogni sfera, personale e professionale”.

“Nonostante le difficoltà legate alla pandemia consideriamo questo giorno come un regalo prezioso della divina provvidenza che rende ancora più bello il volto della chiesa agrigentina. Sono passati quasi trent’anni dallo storico grido di San Giovanni Paolo II nella valle dei Templi, quando, dopo aver incontrato i genitori del giudice e a conclusione della solenne celebrazione eucaristica, invitava in modo accorato i mafiosi a convertirsi”. Lo ha detto, durante la cerimonia, il cardinale di Agrigento Francesco Montenegro. “Da allora la nostra chiesa ha sentito il bisogno di conoscere meglio la figura del giovane giudice. Le testimonianze raccolte e la ricostruzione della vita del beato Livatino ci hanno spinto ad aprire la fase diocesana del processo di beatificazione – ha spiegato – . Alla sua conclusione, la documentazione è stata consegnata alla Congregazione dei Santi per i passaggi previsti e ha avuto la conferma nella scelta di Papa Francesco di dichiararlo martire. Si tratta del primo giudice che viene riconosciuto martire a motivo della fede professata e testimoniata fino all’effusione del sangue. Quanto abbiamo vissuto ci responsabilizza a testimoniare con coraggio il Vangelo con una vita di fede semplice e credibile come quella del giudice Livatino. Speriamo che questa nostra terra di Sicilia, che purtroppo ancora soffre a motivo della mentalità mafiosa, faccia tesoro di questa lezione. Il pensiero e la preghiera, in questo momento, non possono non andare ai tanti magistrati, uomini delle forze dell’ordine, politici e a quanti altri sono state vittime della violenza dei malavitosi”.

 
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