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Il consiglio letterario di Ornella Gulino: “X” di Valentina Mira, l’orrore di essere abusata

SCIACCA. In questi giorni sono balzate agli onori della cronaca alcune brutte storie riguardanti degli episodi di violenza sessuale subiti da ragazze, episodi che hanno infiammato gli animi dell’opinione pubblica. Si torna a discutere di violenze sessuali e a recriminare sulla tempestività delle denunce o addirittura sulla veridicità di queste storie.

Ed è uscito proprio in questi giorni un libro edito da Fandango scritto da una giovane ragazza che racconta in prima persona la violenza subita, si intitola “X” di Valentina Mira.

Nel romanzo troviamo tutti gli elementi tipici di uno qualsiasi di questi episodi di cronaca:  la festa tra ragazzi che bevono uno o due drink di troppo, ragazzi che si divertono, che flirtano finché non si appartano e lei decide di non starci più, di non volere andare fino in fondo ma a questo punto  lui non si ferma.

Valentina conosceva bene quel ragazzo, essendo un amico del fratello, ma decide di non denunciare l’accaduto perché, come gli fa capire lui, nessuno le crederebbe visto che tutti li hanno visti flirtare ed entrare insieme volontariamente in quella camera da letto.  E lei si convince che le cose andrebbero veramente così. Ma è davvero ancora così difficile credere ad una donna? Credere che si possa cambiare idea, che l’essere ubriaca significhi annientare d’un colpo non solo la capacità di discernimento ma anche la credibilità successiva della ragazza?

Il romanzo di Valentina si presenta come una lettera di sfogo indirizzata al fratello, per raccontargli cosa sia successo nella sua vita dopo quell’episodio.  Perché purtroppo il fratello ha scelto di non saperlo, di non crederle e per lo più di andare via di casa proprio con G. , quel ragazzo che l’ha stuprata.

«Stupro. Già la parola è sgradevole, sembra un invito a non pronunciarla: s-t-r-up-r-o.  Ha un suono forte,forse troppo- sa di lacerazione. E poi c’è quel tu in mezzo, s-tu-pro; quel tu che sembra un dito puntato e non si capisce mai se, mentre la dici, lo stai puntando addosso a un altro o a te stessa, accendendo un riflettore che non volevi, che nessuna vorrebbe mai.»

Lo stupro è un tabù, una X come rimanda il titolo, come la X che Valentina si è tatuata sull’anulare dove prima c’era un piccolo neo, uguale a quello del fratello. Ma Valentina sente il bisogno di violarlo quel tabù e parlare, raccontare ciò che è successo, senza fronzoli, senza giri di parole ma forse solo con il bisogno di essere creduta e metabolizzare perché dimenticare quello non si può ma si può almeno scegliere di chiamare finalmente le cose con il loro nome.

«Chiamalo pure Voldemort, Harry. Bisogna sempre chiamare le cose con il loro nome. La paura del nome non fa che aumentare la paura della cosa stessa».

Ornella Gulino

 

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