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I BOSS TRIASSI GESTIVANO IL TRAFFICO D’ARMI

I boss Triassi gestivano il traffico di armi Il litorale romano trasformato in una sorta di Cosa nostra beach. A comandare per anni un gruppo di clan: i siculianesi Vito e Vincenzo Triassi, arrestati assieme alle mogli Felicia e Nunziata Caldarella,anche loro siculianesi (nella foto), gli abruzzesi Fasciani e i campani Senese, tutti e tre trapiantati da tempo nella Capitale.

In una riunione dell’ottobre 2007, le famiglie si sono spartite i traffici di armi, droga, usura, estorsioni e riciclaggio. E così andavano avanti. Ai fratelli Triassi il traffico di armi, il resto agli altri. Una holding criminale che prendeva il pizzo dai negozi. Prestava i soldi alle attività in crisi col suggerimento delle banche “amiche”, che non avevano erogato prestiti e poi le espropriava. Condizionava la concessione degli arenili e del porto turistico.

Gestiva le macchinette da gioco. Pagava lo stipendio ai suoi membri, circa 2000 euro al mese, anche se finivano in carcere. Un ricco giro d’affari difeso da un gruppo di fuoco pronto a sparare e a uccidere. A farsi rispettare se qualcuno usciva fuori dai binari. La pace criminale è stata sancita dopo un fatto di sangue: la gambizzazione di Vito Triassi nel settembre 2007.

Un mese più tardi il vertice delle famiglie, il ruolo da paciere di “zio Ciccio” D’Agati e la stretta di mano con ruolo minore ai Triassi. Il signore di del litorale di Ostia era Carmine Fasciani, 65 anni, che era riuscito negli anni a conquistare l’egemonia sul litorale romano a danno delle potenti famiglie, gli Spada ma soprattutto i Triassi.

Dalle indagini è emerso un quadro chiaro. E in questo modo si compongono, come i pezzi di un puzzle, alcuni attentati che negli anni passati hanno scosso la capitale e hanno colpito i vecchi uomini “forti” di Ostia disegnando così una nuovo equilibrio nella mala romana. Sancendo in pratica il tramonto dei Triassi e l’ascesa degli Spada, ma soprattutto dei Fasciani: Il ferimento di Vito Triassi nel 2007 è stato eseguito per motivi legati alla gestione dei chioschi di Ostia, mentre l’attentato a Vincenzo Triassi del 2010 è maturato per motivi connessi alla cocaina. Due azioni mirate che in 6 anni hanno portato i Triassi ad essere estromessi dagli interessi criminali di Ostia che attualmente sono gestiti dagli Spada e dai Fasciani. La pace sancita tra i clan.

L’accordo di pace definitivo fu raggiunto nel 2007, quando Carmine Fasciani e Francesco D’Agati si incontrarono a casa di Vincenzo Triassi. Qui, si legge nell’ordinanza (online news), Triassi disse a Fasciani: “Ma tu mi ammazzi a me, ma noi siamo cento dietro, ma ti spaccano i coglioni, ti aprono i coglioni e te li mettono in bocca…”, ottenendo la risposta ferma di Fasciani per il quale si rischiava comunque di “finire a schifo e non ci fanno piu’ lavorare”.

Un patto, dunque, per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine sul territorio. A parlare delle modalita’ di sottrazione delle attivita’ commerciali ad Ostia da parte del clan Fasciani e’ stato, come si legge nell’ordinanza, il pentito Sebastiano Cassia: “Se c’hai bisogno di soldi te li presto, se non c’hai bisogno di soldi, ti costringo a vendermela, e ti dico cercati un amico”, dicevano ai negozianti. “Se quello c’ha intenzione – spiega Cassia in un interrogatorio parlando dei commercianti taglieggiati – glielo vende senno’ si aspetta un po’ fino a che si mette sotto strozzo. Si da’ fuoco, quello che sia. Come glielo devo spiega’? – gli si fa l’estorsione”.

“Se vuoi campare tranquillo mi devi dare, che ne so, 500 o 1000 euro al mese – racconta Cassia sul modo di agire dei Fasciani – soldi destinati alle famiglie dei detenuti, di chi gli sta vicino, dei carcerati, di chi li accompagna generalmente. Che ne so, come me, quando io mi accompagnavo a loro a me non sono mai mancati i 5/600 euro dentro la tasca”. L’inchiesta sulle attivita’ illecite nel litorale di Ostia ha infatti anche rilanciato le indagini su un omicidio rimasto irrisolto: quello di Giuseppe Valentini, detto “tortellino”, avvenuto il 22 gennaio in un bar del quartiere di San Giovanni. Il pentito Sebastiano Cassia ha parlato di un traffico di armi dall’ex Jugoslavia e di spaccio di droga dietro quel delitto. “Siccome Giuseppe non era uno che dava punti di riferimento – afferma Cassia – lo sapevano solo gli intimi a che ora arrivava su al bar.

Sono stati gli stessi all’interno che hanno dato ora precisa. Ecco come e’ andata la storia di tortellino”. La donne arrestate. Alleate e prestanome. Ma anche insostituibili aiutanti nella gestione degli affari e dei contatti con i «soldati». Non più semplici mogli e figlie dei mafiosi, relegate a ruoli di secondo piano, ma complici sempre in prima linea. Sono le donne dei clan di Ostia, finite al centro delle indagini della procura e della Squadra mobile. Dalle sorelle Felicia e Nunziata Caldarella, mogli di Vincenzo e Vito Triassi – figlie di Santo Caldarella, condannato per associazione mafiosa e «canali indispensabile per i contatti con i Caruana Cuntrera, ossia con Cosa Nostra», scrive il gip Simonetta D’Alessandro – alla coniuge e alle figlie del boss Carmine Fasciani – Silvia Bartoli, Azzurra e Sabrina Fasciani. A tutte è contestata l’accusa di mafia.

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