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ACQUA: L’ATI TRA RIBELLI, PARADOSSI, INDECISIONI. LA VALENTI INVIERA’ LE DIFFIDE?

Lo scorso 15 febbraio, nella sede della Prefettura di Agrigento, si è tracciato un netto solco tra il passato e il futuro della gestione dell’acqua in provincia di Agrigento. La riunione è stata convocata dal Prefetto ed erano presenti i sindaci agrigentini e i due commissari prefettizi che hanno preso le redini di Girgenti Acque in mano. Redini tenute dallo Stato, è stato sottolineato. Ed è questo lo spartiacque che separa il primo dal dopo. Non vogliamo parlare del passato. C’è una complessa e delicata indagine della Procura di Agrigento che va avanti e che ha già lasciato segni indelebili. Basta pensare alla rimozione del prefetto Diomede, coinvolto nell’indagine. Con l’insediamento del nuovo Prefetto, la vicenda Girgenti Acque ha un taglio netto con l’interdittiva antimafia emessa dal rappresentante del Governo. Il provvedimento è stato tranciante rispetto ad un percorso giudiziario immaginato dall’ATI e che passava attraverso le aule giudiziarie con esiti incerti.

La vicenda relativa alla gestione del sistema idrico integrato nella nostra provincia è una matassa che bisogna dipanare. Si attende l’esito del Tar in merito al ricorso presentato dagli avvocati della Girgenti Acque per ottenere la sospensiva dell’interdittiva antimafia emessa dal prefetto Caputo. Se il Tar dovesse rigettare il ricorso avanzato dalla società idrica, la gestione commissariale prefettizia metterà in atto la fase due, quella fase che consente di essere più incisiva.

Perché uno dei due commissari, Massimo Dell’Aira, è stato chiarissimo:  “Abbiamo chiesto in maniera esplicita la riconsegna degli impianti. Ci auguriamo che i comuni percepiscano l’importanza di una cosa di questo tipo. Io sono stato criticato per aver usato termini che qualcuno ha ritenuto pesanti rispetto alla “illegalità”  della scelta fatta. Onestamente sono abituato ad applicare la legge, che dice che non può esistere un compendio consortile con ‘dissidenti”. In quella stanza è stato usato il termine di “fuorilegge”. Del resto, chi non osserva la legge non può definirsi dentro la legge.

La riunione convocata dal Prefetto ha avuto un  nodo centrale: la riconsegna all’Ambito Territoriale Integrato delle risorse idriche dei comuni non consegnatari. Eliminando, infatti, quelli che rientrerebbero  nella  normativa che garantisce la gestione diretta per i comuni che si trovano dentro parchi naturalistici e possono contare su acque di particolare pregio; è il caso dei Comuni di Bivona e Cammarata. Gli altri dovranno rinunciare alla disobbedienza, al fine di ridurre i costi del servizio.

L’Ato prima e l’Ati dopo, di fatto hanno condotto un atteggiamento paradossale, tanto da produrre una forte inadempienza nei confronti del gestore idrico sottolineata anche nella relazione dell’avvocato Mazzarella. L’Ato prima e l’Ati dopo, hanno consentito all’interno di un “compendio consortile” di avere soli 27 Comuni su 43 che hanno consegnato le reti, così come impone la legge. Il paradosso più eclatante è stato quello riconducibile alla presidenza dell’Ati sotto Enzo Lotà, sindaco di Menfi. Menfi è tra i 16 Comuni non consegnatari delle reti idriche e fognarie, quindi nel gruppo che nella riunione dell’indomani di San Valentino è stato definito “fuorilegge”.

Da un anno presidente dell’Ati è Francesca Valenti, sindaco di Sciacca. Essendo avvocato è, dunque, a maggior misura, fedele al rispetto della legge. Dopo le osservazioni dei due commissari prefettizi e cioè che i Comuni che non hanno consegnato le reti sono fuori dalla legge, e dopo che il Prefetto ha sottolineato che “se la gestione ordinaria potesse fare a meno di andare a comprare l’acqua altrove, i costi di gestione diminuirebbero in modo significativo e si avrebbe maggiore liquidità per venire incontro alle richieste di amministratori comunali che dicono che quando hanno bisogno la società non si fa vedere”, il presidente Francesca Valenti deve essere consequenziale. In buona sostanza, appare opportuno che inizi a inviare diffide ai Comuni non consegnatari delle reti. Qui vi è un altro paradosso, e cioè che tra questi c’è anche il Comune di Santa Margherita Belìce, il cui sindaco è il fratello del presidente dell’Ati.

Ma la Valenti, prima della riunione dello scorso 15 febbraio, ha compiuto un passo che estende la presenza dei Comuni non consegnatari nelle scelte che l’Ati dovrà compiere per mettere su la soluzione alternativa alla Girgenti Acque per la gestione del servizio idrico integrato.

I PARADOSSI CONTINUANO. Nell’Ati c’è un direttivo composto da 7 Comuni. Cinque di questi sono consegnatari di reti (Sciacca-Agrigento-Favara-Racalmuto-Canicattì), mentre 2 non sono consegnatari (Santa Elisabetta e Bivona).

Oltre al Consiglio direttivo, Francesca Valenti ha creato un gruppo di 10 Comuni che hanno il compito di collaborare per concretizzare il famoso PIANO B che manca e sarebbe dovuto essere pronto in vista delle intenzione di risolvere il contratto con la Girgenti Acque. Dunque, nel gruppo dei 10 ci sono 4 Comuni non consegnatari (Palma di Montechiaro-Menfi-Santa Stefano di Quisquina e Aragona), mentre sono 6 i Comuni consegnatari (Grotte-Lucca Sicula-San Giovanni Gemini-Licata-Raffadali e Sambuca di Sicilia).

Ora, se le parole dei rappresentanti dello Stato e di Governo hanno un significato e una caratura di valore, bisogna che l’Ati che interloquisce con Prefetto e Commissari prefettizi si allinei alla legge, ma soprattutto faccia allineare chi quella legge non l’ha rispettata.

Altro paradosso è che lo Statuto dell’Ati contiene ancora un comma cassato dalla Corte Costituzionale. A pagina 5 lo Statuto, al comma 2 dell’articolo 7, punto a) è previsto: “salvaguardare le gestione diretta e pubblica del servizio attraverso la costituzione di sub/ambiti che rispettino l’unità di bacino idrografico contigui………). La legge non consente di creare sub ambiti. Dunque, il servizio idrico integrato, deve comprendere i confini della provincia e deve contenere tutti i Comuni che i essi insistono.

CONFLITTI DI INTERESSI. Abbiamo scritto che la riunione dello scorso 15 febbraio convocata dal Prefetto segna una svolta storica. Viene detto, lo ripetiamo, che tutti i Comuni devono ossequiare la legge e quindi consegnare le reti. L’Ati deve allinearsi a quanto è stato detto nella sede prefettizia.

E’ un paradosso che riveste il profilo del conflitto di interessi e che investe i sindaci non consegnatari delle reti, e quindi “fuorilegge”, che partecipano all’assemblea dell’ATI. Si configura un conflitto di interessi, avendo violato la legge e gli scopi consortili. Tutte le deliberazioni adottate dall’ATI con la presenza dei sindaci non consegnatari delle reti rischiano di essere illegittime e quindi nulle. Un conflitto di interesse si configura quando emerge una condizione nella quale un soggetto nell’espletare il suo potere decisionale si trova ad essere titolare di interessi propri in contrasto con quelli per i quali il potere gli era stato conferito.

UNA MINORANZA HA CONDIZIONATO TARIFFE E COSTI ALTI DEL SERVIZIO SULLE SPALLE DELLA MAGGIORANZA DELLA POPOLAZIONE AGRIGENTINA. In buona sostanza la situazione vissuta fino ad oggi vede una forte penalizzazione per la popolazione dei 27 Comuni che hanno osservato la legge e ceduto le reti. I 16 Comuni hanno partecipato alle assemblee, votato tariffe e altri provvedimenti che poi hanno interessato solo ed esclusivamente 352.919 abitanti su 446.837 dell’intera provincia di Agrigento. Infatti, i 16 Comuni “ribelli” rappresentano solo 93.919 abitanti, cioè appena il 21% della popolazione agrigentina. Dunque, a causa dei 16 Comuni ribelli, i 27 Comuni che hanno osservato la legge hanno dovuto sobbarcarsi i costi generali del servizio idrico integrato diviso in 27 anziché in 43. In buona sostanza, i 16 hanno – sotto la falsa egida dell’acqua pubblica- “politicizzato” i bassi costi dell’acqua nei loro Comuni a danno degli abitanti dei 27 Comuni in regola con la legge, costretti a far scorrere dai rubinetti l’acqua venduta da Siciliacqua ad un prezzo tre volte più alto della media nazionale alla Girgenti Acque.

Si è formato un “cartello” di sindaci che rappresentava il 21% della popolazione e che ha influito negativamente sul portafoglio del 78,97% del resto della popolazione agrigentina.

ACQUA PUBBLICA SI. Siamo convinti fortemente che l’acqua è un bene pubblico vitale il cui servizio gestionale deve essere svolto a tutto vantaggio dei cittadini con i criteri dell’efficienza e dell’economicità. Ma sempre nel rispetto della legge. Acqua pubblica e servizio gestionale pubblico significa condivisione delle risorse, senza campanilismi. Adesso l’Ati faccia presto ad assumere la soluzione alternativa a Girgenti Acque. La legge consente solo ed esclusivamente queste soluzioni:

  1. Affidamento diretto solo a società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell’ATI.
  2. Gestore privato individuato con gara ad evidenza pubblica;
  3. Società mista pubblico-privata preceduta da gara a doppio oggetto.

I singoli Comuni per la gestione del servizio idrico integrato possono consorziarsi costituendo società consortili ad esclusivo capitale pubblico.

In conclusione, il presidente dell’ATI, Francesca Valenti si adoperi senza perdere ulteriore tempo, ma soprattutto faccia comprendere ai Comuni non consegnatari delle reti che l’immediato futuro passa attraverso il dettato rimarcato dal Prefetto e dai due commissari prefettizi che, per conto dello Stato, hanno preso le redini della Girgenti Acque nella gestione commissariale. E rimuova, subito, quel paradosso enorme che penalizza solo i Comuni che hanno rispettato la legge. Dura lex, sed lex.

Filippo Cardinale

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